Montepaschi, la Fondazione molla la presa

Montepaschi, la Fondazione molla la presa

Alla fine Fondazione Mps ce l’ha fatta ad evitare ulteriori impegnisul proprio debito, ma ad un prezzo «simbolicamente» elevato: la molto probabile discesa sotto il 50% dei diritti di voto nel Monte.
Ieri l’ente presieduto da Gabriello Mancini, nonché maggiore azionista del Monte dei Paschi con il 47% del capitale, ha reso noto di aver concluso un accordo di standstill (una moratoria) fino al 15 marzo con il pool delle 11 banche capeggiate da Jp Morgan che le avevano erogato un prestito da circa 600 milioni di euro (oggi scesi a circa 500) per la sottoscrizione dell’ultimo aumento di capitale di Rocca Salimbeni. Un’analoga intesa è stata siglata con Mediobanca ed è relativa al Total return swap (un derivato con sottostante il prestito Fresh 2008 per una quota di 190 milioni). È in fase di definizione, ma si dovrebbe concludere a breve, l’accordo con il Credit Suisse relativo a 300 milioni del Fresh.
Palazzo Sansedoni guadagna circa tre mesi di tempo per portare avanti una strategia di dismissioni i cui contorni sono sostanzialmente definiti, ma soprattutto viene «bloccato» il meccanismo di integrazione e svincolo delle garanzie sui prestiti. La caduta delle quotazioni del Monte (ieri -2% a 0,2542 euro) ha fatto saltare i covenant, le clausole dei finanziamenti - utilizzati per sottoscrivere l’aumento - e legate proprio ai corsi della banca presieduta da Giuseppe Mussari.
Nei prossimi tre mesi, quindi, con l’aiuto di Rothschild e Mediobanca, la Fondazione Mps dovrà mettere a punto una strategia di dismissioni che consenta all’ente di rientrare (almeno parzialmente) dall’esposizione ed evitare di versare ulteriori garanzie a tutela dei creditori. Si tratta delle quote del 5,6% in F2i e del 2,56% in Cdp. Per queste si sono già fatte avanti le altre Fondazioni di origine bancaria, pronte a sostenere la «consorella». In particolare la quota nella Cassa Depositi e Prestiti dovrebbe fruttare 89 milioni di euro, una cifra pari alla valutazione in bilancio. Da risistemare pure l’1% nel Fondo Sator di Matteo Arpe e lo 0,9% di Mediobanca, mentre richiederanno più tempo le cessioni del 36% dell’azienda vitivinicola Fontanafredda e del 31,6% dell’Immobiliare Sansedoni.
Al momento, non si può escludere (e per la Fondazione sarebbe auspicabile) un’estensione della moratoria fino a giugno in modo da consentire un decorso più tranquillo agli smobilizzi e da mettere a punto l’eventuale discesa nel capitale della banca: ultimo passo del piano strategico di riduzione dell’indebitamento. Scendendo dal 47% al 33, la Fondazione manterrebbe il diritto di blocco, recupererebbe un po’ di risorse (255 milioni alle quotazioni di ieri) e potrebbe stringere un patto con azionisti interessati a restare come Caltagirone e Axa. Opzione avversata dai dipendenti-soci che hanno il 3% della banca.
A Siena sono abbastanza ottimisti. L’unica incognita riguarda quello che viene considerato «l’accanimento» dell’Eba nei confronti del Monte. La richiesta ricapitalizzazione di 3,3 miliardi sarebbe impossibile da sostenere pro-quota per l’ente.

Anche se a Rocca Salimbeni sono ancora fiduciosi di riuscire a evitarla con la conversione del Fresh e delle azioni di risparmio, liberando la «riserva sovrapprezzo» per 752 milioni e riportando il Core Tier 1 ben sopra il 10%. Intanto, secondo quanto si apprende, la nomina di un ad, figura prevista dallo statuto, potrebbe avvenire in anticipo rispetto al rinnovo del board di primavera, ma senza intaccare le prerogative del dg Antonio Vigni.

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