Montezemolo lascia, la Fiat si fa in due John Elkann diventa presidente e parte il piano di rilancio. Il titolo vola in Borsa

Ieri, con un colpo di teatro, Luca Cordero di Montezemolo ha lasciato la presidenza della Fiat. Oggi la casa automobilistica torinese descriverà le tappe con le quali separare la sua divisione auto da tutto il resto del gruppo. John Elkann, il nipote dell’Avvocato, prenderà il posto di Montezemolo, riunendo tutte le presidenze che contano nella galassia di famiglia. A Marchionne riesce la zampata che mai a un manager Fiat era riuscita: comandare davvero, senza un titolo in tasca (Romiti aveva quelli pesanti della Mediobanca di Cuccia). Vediamo di affrontare le tre questioni fondamentali che restano sul tappeto.
1. Quando esattamente a maggio di sei anni fa, le cinque signore di casa Agnelli (la figlia dell’Avvocato e le sorelle) decidono di affidare a Montezemolo la presidenza del gruppo, appare chiaro che l’ennesima emergenza dell’auto rischiava di travolgere tutti. Le signore, convinte da Suni Agnelli, intuiscono che al vertice del gruppo è necessario che ci sia un manager che sommi due caratteristiche difficili da trovare sul mercato: essere di casa a Villar Perosa e avere la capacità di interloquire con la politica. Uno scudo contro il rischio di farsi scippare il gruppo dall’interno (tentativo che era stato messo in piedi da Morchio proprio in quelle ore) e dall’esterno (le banche avevano l’opzione, che poi esercitarono, di diventare primi azionisti, Colaninno era lì pronto a formare una cordata, la politica immaginava scenari parapubblici). Nel consiglio del 30 maggio del 2004, a soli tre giorni dalla morte di Umberto, Montezemolo viene nominato Presidente. E di lì a pochi giorni un consigliere, fino allora oscuro, Marchionne, viene scelto come capo azienda. Oggi sono tutti bravi a riconoscere la scelta di Marchionne come straordinaria. E così si è rivelata. Ma in molti si dimenticano che all’epoca la questione numero uno era mantenere il comando e le decisioni strategiche (anche l’eventuale scelta di vendere) solidamente in mano alla famiglia. D’altronde un ottimo manager, sperimentato, la Fiat all’epoca già lo aveva: si chiamava Morchio. L’azionista aveva la necessità piuttosto di trovare qualcuno che difendesse la proprietà Agnelli, il patrimonio. In questo senso si deve leggere l’uscita di ieri di Montezemolo. È finita una fase. La famiglia Agnelli è cambiata. Le signore contano sempre di meno: alcune non ci sono più. Il nipote Elkann è maturato. Si possono rimproverare molte cose a Montezemolo: ma una cosa è certa, il mandato con il quale è stato assunto è stato portato a termine. Certo la tempistica delle dimissioni apre una congerie di pettegolezzi. Perché proprio il giorno prima dell’annuncio dello spin off (separazione dell’auto dal resto)? Perché resta nel cda? Si sono davvero deteriorati i rapporti di Montezemolo con Marchionne e soprattutto con il giovane erede? Domande le cui risposte, in fondo, oggi non contano molto. Montezemolo è fuori.
2. Dentro, e alla grandissima, è invece John Elkann. Sulle spalle del giovane nipote dell’Avvocato la presidenza della cassaforte di famiglia (la cosiddetta accomandita di cui ha ereditato il 35 per cento del nonno), quella della Exor (il vecchio garage di Umberto così chiamato per la velocità con la quale diversifica facendo entrare e uscire gli investimenti di famiglia) e quella del gruppo Fiat. Nel passato John aveva detto che non avrebbe fatto il numero uno del gruppo Fiat, che sarebbe rimasto ai piani alti. Così non sarà. Ma le condizioni di casa Agnelli sono cambiate. In una recente intervista rilasciata a Pierluigi Bonora sul Giornale, Maria Sole Agnelli (seconda azionista con il 13 per cento) ha raccontato come il clan sia oggi molto compatto. C’è da scommettere che entro poche settimane Andrea Agnelli, figlio di Umberto e terzo azionista con quasi il 10 per cento, entrerà nel consiglio dell’accomandita. Insomma rispetto a soli sei anni fa, la famiglia sabauda ha trovato un capo azienda in grado di rimettere in ordine le fabbriche, ha individuato una prospettiva che vede un impegno azionario minore ma in un’auto sempre più grande e ha definitivamente accettato l’eredità dell’Avvocato: lasciare gli affari di famiglia in mano al nipote. John alle luci della mondanità di Saint Tropez, preferisce le terrine del bistrot della Mole, dal nonno ha ereditato la curiosità e la passione per la stampa, ma rispetto alla famiglia ha un pizzico di «cattiveria», o se si preferisce determinazione, in più.
3. Nel nuovo assetto che dovrebbe seguire il cosiddetto spin off dell’auto, in un primo tempo a John dovrebbe essere riservata la presidenza dell’auto, con Marchionne amministratore delegato. Sempre a Marchionne verrebbe riservata la leadership del gruppo, mentre è ancora da individuare l’ad. Ma andiamo per ordine. Oggi verrà svelata la tempistica di quello che appare un percorso segnato. La Fiat si farà in due: da una parte la sola auto (in cui dovrebbe entrare la società fabbrica motori) e dall’altra il resto: veicoli industriali, camion, automazione, stampa, acciaierie, elettronica e forse Ferrari (la sua collocazione è ancora incerta). La finalità di questo progetto messo in piedi da Marchionne è piuttosto chiara. Far sì che la dimensione dell’auto aumenti. Un primo passo è stato fatto con l’acquisizione (ancora da perfezionare) dell’americana Chrysler. Ma il processo non si potrà arrestare. Insieme i due gruppi fanno 4 milioni di auto: non sufficienti per raggiungere la dimensione ottimale a cui pensa Marchionne. È necessario mettere soldi in cassa o diluire la presenza degli Agnelli. Presto fatto. Separando l’auto da tutto il resto dell’impero, gli Agnelli potranno fare un passo indietro, mantenendo nel contempo il resto del bottino. È un progetto che non dispiace ovviamente alla proprietà, agli Agnelli. Che vedono in tal modo ridurre la propria esposizione nei confronti del difficile mercato delle auto, ma nel contempo possono ancora dire di far parte come azionisti rilevanti di un grande, grandissimo gruppo automobilistico. Ma si tratta anche di un capolavoro di Marchionne. Non esattamente il manager che si è fatto padrone, ma qualcosa di molto simile.

Il manager sarà quanto di più simile (se ci passa il paragone) al numero uno di una grande banca americana: comanda per davvero senza avere un titolo in tasca, a parte quelli che gli saranno riconosciuti con dovizia sotto il titolo di stock option. È un inedito per l’Italia.

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