Roma - Romano Prodi deve ancora parlare al Senato. Per Moody’s l’intervento del presidente del Consiglio è ininfluente. Ciò che conta per l’agenzia di rating è il «dodecalogo» sottoposto dal Professore alla sua maggioranza. «E l’appoggio da parte dei nove partiti della coalizione al patto di 12 punti è più un riflesso di sopravvivenza che una piattaforma vera e propria».
Un giudizio severo, un declassamento «politico». E arriva «a freddo». Per di più formulato da Pierre Cailleteau che per Moody’s non segue i conti pubblici, ma le analisi politiche. La scelta di «sopravvivenza» fatta dalla coalizione con l’approvazione del «dodecalogo», dimostra che «in Italia - osserva la nota dell’agenzia di rating - non c’è una solida maggioranza per le riforme». Un cammino che Moody’s vede compromesso. «Qualche anno in più di immobilità - prosegue il report - probabilmente non scatenerà una crisi finanziaria. Di certo, accentuerà il declino economico del Paese». Declino che deriva dalla resistenza di questa coalizione all’introduzione delle riforme strutturali di cui il Paese ha bisogno.
Alle osservazioni di Moody’s, il presidente del Consiglio risponde sibillino: «Vedremo fra tre giorni...». E fra tre giorni il governo dovrebbe ottenere la fiducia dal Parlamento. E non solo quella. Per domani è atteso il dato Istat ed Eurostat sul livello di deficit del 2006. Livello che dovrebbe conteggiare le entrate aggiuntive pari ad un punto di pil.
Secondo Moody’s, però, l’Italia è in Europa il Paese che ha un maggiore grado di resistenza all’introduzione di riforme. «La consapevolezza dei problemi è limitata, le fratture ideologiche sono profonde e le attuali regole elettorali non riescono a produrre maggioranze in grado di governare». L’agenzia sta anche mettendo a punto un indicatore che misura il grado di resistenza al cambiamento di una società. Più è alto il numero di persone interessate a conservare la situazione attuale, che beneficiano di una voce di spesa pubblica, più difficile è introdurre riforme destinate a comprimere la spesa.
Un esempio calzato sul caso della riforma previdenziale italiana. Visto che il nostro Paese detiene in materia un doppio record: la più bassa percentuale di popolazione in attività nella fascia d’età fra i 54 ed i 65 anni e la più alta percentuale di 65enni in relazione alla popolazione attiva. Gli over 65 sono un terzo dei lavoratori attivi.
L’analisi di Moody’s non è troppo distante da quella del Financial Times. In un commento, l’organo della City osservava che l’ultima cosa di cui l’Italia aveva bisogno era di continuare così. E ricordava come la presenza di forze conservatrici (nell’estrema sinistra) impediscono l’introduzione di vere riforme strutturali in Italia. Impasse che - secondo Ft - poteva essere superato soltanto da un nuovo governo di larghe intese. L’unico in grado di dare forma ad una riforma elettorale.
«Dopo il Financial Times, anche Moody’s. Grazie a Prodi ed alla sua rabberciata maggioranza - commenta Mario Ferrara, responsabile delle politiche di bilancio di Forza Italia - la credibilità del nostro Paese è ai minimi storici». «Un’altra pesante bocciatura internazionale per il Professore», aggiunge Mario Schifani, presidente dei senatori azzurri.
Pierluigi Bersani prova una difesa d’ufficio del governo. E batte una strada già percorsa da Tommaso Padoa-Schioppa all’indomani del declassamento operato da altre agenzie di rating: stanno sbagliando. «Come già avvenuto in passato - commenta il ministro per lo Sviluppo economico - qualcuno dovrà ricredersi. Quando partimmo con due voti di vantaggio al Senato tutti ci davano come immobili, comprese le agenzie di rating.
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