Roma «Reagire, bisogna reagire», è da giorni l’allarme in casa Pd. Già, ma come? La prima sortita di Pier Luigi Bersani, con la lettera di martedì al Corriere della Sera, non ha convinto del tutto i suoi: troppo «difensiva», troppo «debole» secondo molti dirigenti. E infatti è stata seguita da pochi commenti di sostegno e tutti di parte bersaniana.
Ieri allora, dopo un’ennesima mattinata di passione in cui a Bersani è toccato scrivere un’altra lettera al Fatto per rintuzzare le accuse, mentre sul Pd si abbatteva una nuova gragnuola di critiche (dal Corriere della Sera in giù, salvo una Repubblica molto sobria che in prima pagina non faceva cenno alla questione) e di notizie sulle inchieste, il segretario ha deciso dibattere un colpo più forte.
E che c’è di meglio che impugnare lo slogan anti-Cavaliere di Repubblica contro chi scrive degli indagati Pd? Bersani ha dunque convocato in quattro e quattr’otto una conferenza stampa e ha tuonato: «Alle macchine del fango dico: se sperano di intimorirci si sbagliano di grosso».
Il segretario annuncia querele (in primis contro il Giornale, per l’occhiello «Diversamente ladri») e rispolvera addirittura un’arma che lui stesso aveva inserito nell’ordinamento italiano, quando da ministro nelle sue celebri «lenzuolate» introdusse la class action, l’azione collettiva risarcitoria a tutela dei consumatori. In questo caso gli attori della class action contro la stampa «fangosa» sarebbero gli iscritti del Pd, rappresentati dal loro segretario. Che spiega: «Le critiche le accettiamo. Le aggressioni no, le calunnie no, il fango no. Da oggi iniziano a partire le querele e le richieste di danni. Sto facendo anche studiare la possibilità di fare una class action», perché «essendo il partito una proprietà indivisa, se viene paragonato alla ’ndrangheta in questo c’è un insulto a ciascuno dei suoi componenti».
Stavolta alla dura reazione del leader segue una vera e propria chiamata alle armi: tutti i dirigenti, da Letta alla Bindi, dalla Finocchiaro a Franceschini, si accodano: «La posizione di Bersani è quella di tutto il Pd», assicurano in coro. Nel partito, racconta chi ci lavora, si respira «un clima d’assedio», con il timore che il «fango» salga ancora. Ma in realtà la scelta di Bersani di prendersela con la stampa non convince tutti. «Questa della class action del Pd nei confronti dei giornali che avrebbero allestito una macchina del fango contro di noi non l’ho proprio capita», scrive su Facebook l’ex ministro delle Comunicazioni Paolo Gentiloni.
«Quando in casa nostra ci sono violazioni dell’etica pubblica vanno denunciate con severità, al di là delle forzature dei giornali che se ne occupano». E conclude, in cauda venenum: «Cerchiamo di non scambiare le cause con gli effetti». Se i giornali parlano della «questione morale» nel Pd, insomma, è perché - da Tedesco a Pronzato a Penati - l’occasione è stata fornita. «La superiorità morale non esiste», come dice un altro ex ministro, Giuseppe Fioroni, «e il Pd si è dato un codice etico che nella pratica non è stato ancora adottato».
Ancor meno convinto è Goffredo Bettini, già deus ex machina del partito veltroniano. Che, mentre il gruppo dirigente Pd si asserraglia in difesa del segretario, intona un duro controcanto: «Vedo naturalmente le strumentalizzazioni», dice. «Per carità, non mi sfugge che ancora come Pd siamo sicuramente la cosa politicamente migliore. Però non c’è dubbio che, io dico dal 1992, avremmo dovuto fare quella riforma di noi stessi e stabilire un nuovo rapporto con i cittadini, più trasparente, più vivo, più efficiente. Non lo abbiamo fatto - conclude amaro Bettini - e le nostre pratiche politiche sono grandemente compromesse, soprattutto nel Mezzogiorno». Grandemente compromesse.
Anche nella maggioranza del segretario c’è chi si mostra critico, sia pur
dietro assicurazione di anonimato: «Ma come? Proprio noi che ci stracciammo le vesti quando Berlusconi minacciò querele miliardarie contro l’Unità oggi facciamo la stessa cosa? E che siamo, diversamente berlusconiani?».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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