Milano - Sui trofei dell’Inter ci sono due sguardi: quello sereno di Giacinto Facchetti e quello trionfante di papà Angelo, i due simboli dell’Inter che Massimo Moratti porta nel cuore nel prossimo secolo nerazzurro. Le foto sono lì, nella sala in cui il presidente dell’Inter celebra con una chiacchierata il suo Centenario, l’orgoglio di esserci come numero uno e la preoccupazione perché la festa diventi tale martedì con il Liverpool. Un caffè, una richiesta di qualcosa di fresco («champagne no, se no sembra che siamo già qui a festeggiare...»), una breve digressione sul Milan: «La partita l’ho vista dopo, ero a una cena di lavoro e mi aspettavo degli sms che non arrivavano. Poi sono salito in macchina e sono stato in giro per sentire la fine alla radio: il Milan è stato bravo a resistere a lungo perché l’Arsenal ha giocato benissimo e ha un grandissimo tecnico. Poi i gol sono venuti alla fine, come per noi a Liverpool. Ma si sa, il calcio è crudele». Un sorriso e via, si torna all’Inter.
Cent’anni nerazzurri da presidente. Come va?
«Va che sento una grande gioia e una grande responsabilità davanti ai nostri tifosi. Vorrei regalare una grande festa, vorrei che si ricordasse tutta la storia dell’Inter e non solo questi ultimi anni. Tutta una storia fatta dai giocatori che hanno vestito questa maglia, dai successi e dalle sconfitte, dalla felicità e dalle liti. Una storia di sentimenti, insomma. E anche di soldi...».
Quelli che servono per farsi e fare il regalo del Centenario.
«Ma se parla di giocatori non so se ci sarà, il vero regalo è la mentalità e la professionalità che ha acquisito la squadra. Non dimentichiamo che abbiamo Ibrahimovic e quello è un regalo anche per il futuro. E poi che la prossima stagione recupereremo come nuovi giocatori Cordoba, Samuel e Dacourt. Se poi ci sarà un’occasione sul mercato, vedremo. Ma quello è un regalo per gli altri, più che per me...».
E forse anche per Mancini.
«Certo: Roberto chiede, magari qualcun altro non avrebbe il coraggio di farlo. Ma chiede giocatori funzionali al suo tipo di gioco e poi ama, come me, i talenti puri. Gente come Ibra, come Figo. E, perché no, in prospettiva come Balotelli».
Quindi Mancini resterà qualunque cosa succeda.
«Mancini non ama fare solo l’allenatore, lui vuole partecipare al progetto della società. È il più giovane che ho avuto, con tutti sono rimasto in buoni rapporti, Lippi compreso. Mancini sta facendo benissimo, sta crescendo, non ho motivo di dubitare che in futuro faccia male, anzi. Il problema si porrebbe solo se lui mi dicesse di volersene andare, ma io non lo mando via di certo».
Insomma, come Wenger all’Arsenal o Ferguson al Manchester United: manager a lungo termine.
«Non so se ha le stesse caratteristiche, di sicuro è un protagonista. Smussando gli angoli con l’esperienza, credo e spero che resterà a lungo. Forse deve imparare ad affrontare certe cose con più serenità. Ma l’età serve a questo».
Un angolo da smussare è quello che porta dritto al dottor Combi...
«Inutile nasconderlo: il braccio di ferro c’è, si capiscono poco e hanno idee spesso divergenti. Però Mancini è un bravo tecnico e Combi un bravo medico: spero che vinca il buon senso, anche se è una situazione imbarazzante. Ci vuole un po’ di collaborazione e fiducia. Comunque vedremo».
Torniamo al regalone: ci sarà da rimpiazzare gente come Figo, Vieira e Adriano.
«Ma lei è sicuro che Figo lasci? Se torna quello che conosciamo superando l’infortunio secondo me gli viene voglia di continuare. Io non lo forzo, ma glielo chiederò. Vieira è stato sfortunato, anche per incidenti subiti con la nazionale. Non abbiamo nessuna intenzione di disfarcene».
Resta Adriano...
«Stiamo attendendo che si renda conto che deve far bene lì in Brasile. Non c’è amarezza ma tenacia: è un po’ come un ragazzo che sai che può fare bene a scuola ma non ha ancora imparato a mettere a frutto la sua intelligenza. Certo però, gli anni passano: è l’ora per il salto di qualità. La vita è sua e il danneggiato è lui».
Presidente, diciamocela tutta. Ora dicono: l’Inter è come la Juve...
«Guardi, non credo che lo pensi neanche il nostro peggior nemico. E poi premetto: nella Juve attuale io provo grandissimo rispetto. Credo che il discorso sia: succede anche a voi, quindi anche loro erano onesti. Invece posso dire che la storia dell’Inter è fatta di presidenti che sono stati lontani da certi giochetti. L’Inter è una squadra artistica e sorprendente. E soprattutto non ha mai abusato del potere nell’ambito calcistico. Avremmo vinto di più? Forse. Ma è meglio così».
Quindi, gli arbitri...?
«Quindi gli arbitri esercitano un ruolo discutibile e affascinante. So che mi converrebbe dire che li difendo e basta, invece dico che li difendo perché so che prima erano condizionati e adesso no. Fanno errori perché molti sono giovani e si può migliorare, Collina ce la sta mettendo tutta. Ci vuole solo pazienza e lavoro».
E quindi niente aiutini e aiutoni...
«Guardi, sono di parte: Totti mi è simpatico. Il calcio è fatto di polemiche e battute, a volte le faccio anch’io e magari qualcuno non gradisce».
A questo punto: ottimista per il campionato?
«Beh, certo: a questo punto speravo in qualche punto in più. E magari di non perdere proprio prima del Centenario. Però il Napoli ha giocato una super gara, perdere così non lascia strascichi. E sei punti sono un buon margine».
E per il Liverpool perché i tifosi dell’Inter dovrebbero essere ottimisti?
«Perché noi tutti dobbiamo sapere che questo è un ostacolo da saltare, anche se non siamo nel momento migliore. Ma chi va in campo - i Rivas, i Burdisso per esempio - sa che gode di una grandissima considerazione da parte nostra e dei tifosi. All’andata fu una partita strana, l’unica critica che posso fare è che rimanere in 10 in una sfida così era la scelta peggiore da fare. Ma possiamo farcela, dobbiamo toglierci il complesso europeo come ci siamo tolti quello del campionato, è assurdo che l’Inter non vinca da 40 anni un trofeo così importante. Servirà una partita eroica e un po’ di fortuna».
Una partita d’altri tempi, quelli della Grande Inter...
«Il ricordo che mi porto dietro da allora è quello di mio padre: era il secondo anno di Herrera, la squadra era in fase negativa. Eravamo a casa, lui si alzò e disse: “Ora vinceremo tutto”. Così fu: un esempio di grande determinazione. E a Vienna vincere la coppa campioni fu un sogno».
Allora presidente, si faccia un regalo.
«Ne parliamo martedì».
Lo faccia ai
tifosi«Martedì, appunto...».
Lo faccia ai suoi figli, allora.
«Più che un regalo, un augurio: ne avrebbero le capacità, ma spero che a nessuno di loro tocchi il mio ruolo in futuro. Anche se nella vita...».
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