La Moratti recita Lincoln: "Dedico questa musica ai ragazzi di Kabul"

Debutto del sindaco al Teatro Dal Verme. Con la Filarmonica ha narrato la pièce di Aaron Copland. Interrotta dalla protesta di 4 studenti ha finito tra gli applausi

La Moratti recita Lincoln: "Dedico 
questa musica ai ragazzi di Kabul"

Una festa rovinata. Chissà come se l’era immaginato Letizia Moratti il suo debutto sul palcoscenico del teatro Dal Verme... Certamente non così. Almeno a giudicare dall’espressione attonita che le segna il volto in un primo momento. Una manciata di secondi e si ricompone. Ieri sera al Dal Verme è andato in scena il debutto da attrice rovinato da quattro contestatori. Il sindaco Letizia Moratti, voce narrante nel «Lincoln portrait» di Aaron Copland: «Ognuno è chiamato a dare il proprio contributo per il bene della città - aveva detto - non solo con l’impegno di tutti i giorni, ma anche offrendo qualcosa in più. Recitare “Lincoln portrait” è quel qualcosa in più che posso fare per Milano. La nostra città merita questo coinvolgimento, questo amore».
Un gesto d’affetto che non è stato ripagato con la stessa moneta. Ore 20,45 Letizia Moratti fa il suo ingresso in teatro visibilmente emozionata. Ha ripassato la sua parte anche in macchina, tra un impegno e l’altro, nonostante abbia studiato nei giorni precedenti con il vicedirettore della scuola di recitazione del Piccolo teatro, Enrico d’Amato. Pantaloni neri tipo frack, camicetta di seta bianca con un fiocco, bustino nero, décolleté di vernice nera con stringhe. «Vado... vado... vado... in camerino - dice - siate clementi...». Il tono della voce tradisce l’agitazione. «Non l’ho mia vista così emozionata - commenta poco dopo il marito Gianmarco Moratti -: 14 anni fa all’Onu davanti a 350 persone di tutte le nazioni aveva fatto un discorso bellissimo, incredibile». Dopo di lui arrivano il presidente di Mito Francesco Micheli, Enzo Restagno, direttore artistico del festival, ovvero colui che ha voluto fortemente che il sindaco recitasse, Ruth Shammah, regista e direttrice del teatro Franco Parenti, Inge Feltrinelli, l’imprenditore Manfredi Catella, l’assessore alla Cultura Massimiliano Finazzer Flory. Si abbassano le luci, dopo «The unanswered question» di Charles Ives tocca a lei. Arriva, la camminata rigida per la tensione, si siede - sembra una scolaretta - si tiene le mani, uno sguardo al leggio, uno al pubblico, in una sala vuota a metà colpa anche delle partite di Inter e Milan - l’aria concentrata. Comincia a recitare in un inglese sicuro le parole di Abramo Lincoln sulle note di Aaron Copland. Una musica travolgente, «stupenda con un significato valido ancora oggi. Una musica che parla di democrazia, ecco la dedico ai ragazzi caduti a Kabul» dirà poi uscendo. Sta per affrontare la seconda strofa che - colpo di scena - dal pubblico una ragazza si alza urlando: «Perché non possiamo studiare? Te lo chiediamo davanti a tutti - si aggiungono altre tre -, perché non posso studiare, spiegamelo». Applausi dagli spalti dove è seduto anche qualche simpatizzante della protesta, che vede anche un presidio fuori dal teatro. Sono gli studenti delle scuole civiche serali. Un attimo di incertezza pervade il sindaco.

Una manciata di secondi di raccoglimento - «io vado avanti» dice rivolgendosi al direttore d’orchestra - e via conclude con un aplomb difficile da misurare con l’agitazione di qualche minuto prima, tutto il suo brano. Scoppiano gli applausi. «Peccato - dice visibilmnete delusa la Moratti - era veramente un bel testo. Tornerò a teatro? Se me lo chiederanno».

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