«Il pubblico di Spoleto non ha apprezzato il fatto che, nel mio spettacolo, non ci fossero i sovratitoli in italiano e ha espresso clamorosamente la sua disapprovazione. Perché, invece di fischiare, non me ne ha chiesto la ragione? Gli avrei spiegato nella vostra lingua che la poesia non si traduce e che i versi, soprattutto quelli di Jean Genet, sono una musica informale che si spiega solo col gesto ». Jeanne Moreau è afflitta. Il celebre viso che Orson Welles, ai tempi di Storia immortale , definì «una via di mezzo tra l’uragano delle Azzorre e la tiepida brezza di Montmartre» oggi ripiega sul tenue riso disfatto che Joseph Losey immortalò in Eva , l’unico film girato in Italia dal grande regista. Glielo dico e la musa del cinema che, nel corso della sua lunghissima carriera, è passata da Truffaut a Peter Brook fino ad approdare prima a Fassbinder e poi a Wim Wenders scoppia in una squillante risata. «Vorrei ancora parlarle del testo che ho appena recitato dato che, per la prima volta nella mia vita, non sono né un uomo né una donna».
È stata una decisione improvvisa?
«No, una decisione meditata. A mio avviso Le condamné à mort anche se il protagonista Maurice Pilorge è un giovanotto che, all’alba della sua esecuzione, si congeda dal mondo in un lessico magnifico e straziante degno di Rimbaud è l’esempio tragico della condizione umana. Per questo ho scelto di interpretarlo: a ottantatre anni la sola seduzione che un’attrice può esercitare è il confronto tra noi e l’al di là».
Non le sembra di essere atrocemente pessimista? A ottant’anni Borges scriveva ancora i suoi capolavori e la sua collega Edwige Feuillère esumava addirittura La dame aux camélias.
«Ma loro erano dei geni, io solo un testimonial dell'arte, non trova?».
Non si direbbe, visto che sta per dirigere il suo quarto film. Vero o falso?
«Ahi ahi, ha messo il dito sulla piaga! E dire che avevo giurato di non mettermi più dietro la macchina da presa dopo...».
Dopo che cosa?
«Dopo L'adolescente l’unico film che riconosco mio».
È la pellicola che strappò un grido d’ammirazione a Elia Kazan?
«Glielo proiettai in seduta privata a Karlovy Vary. Un’elegia sulla vecchiaia dove l’adolescente del titolo che, a quell’età, si crede immune dalle ingiurie del tempo scopre nella nonna l’unica fonte di conoscenza. Superfluo dire che quel personaggio era interpretato da Simone Signoret che si dichiarava, come me, una sopravvissuta».
Sopravvissuta a cosa?
«Alla bellezza che, prima di tramontare, ci regala l’acre profumo dell’intelligenza».
Torniamo al presente. Anzi, al futuro.
«Abbiamo sfiorato l’argomento proibito del quarto film, no? Ebbene le confesserò che accanto a Josée Dayan girerò un instant movie sugli ultimi giorni di Maria Antonietta. Sarà un bianco e nero in presa diretta con due sole eccezioni».
Quali?
«L’inizio e la fine saranno a colori. Dove io, mi perdoni l'impertinenza, nelle vesti di Maria Teresa d’Austria che mi interrogo sull'avvenire di mia figlia mentre alla conclusione crollerò a terra gridando al pubblico Merci. Vuol sapere perché?».
Prego.
«Merci per avere vissuto fino all’ultimo la propria leggenda.
E i rimpianti, madame, non ne ha nessuno?
«Un film mancato come La veneziana scritto per me da Scaparro dove sarei stata ancora una volta vittima di Eros, il dio più malizioso che esista».
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