Milano Morgan è Morgan e non c’è null’altro da aggiungere. Da un anno è dappertutto, giornali e tv a palate, e il perché lo conoscete: è uno dei capisquadra di X Factor insieme con Mara Maionchi e Simona Ventura e ogni volta durante lo show strologa sulla musica in sé, è il musicista pratico più teorico che c’è perché ascoltando un brano di Ivano Fossati può divagare fino ad arrivare a Jacques Brel e dai Metallica potrebbe tranquillamente, seguendo un filo che solo lui sa, trovare un collegamento con Nicola Di Bari od Orietta Berti. Favoloso, c’è da ammetterlo. E pericoloso: nei suoi meandri ci si perde, attenzione.
È il depositario della frase più bella e vigorosa che un musicista possa dire: «Io non riesco più ad ascoltare la radio con le canzoni scelte da altri perché ho sempre la mia musica che suona dentro di me». Ha 36 anni ed è il fondatore dei Bluvertigo, gruppo attualmente a geometria variabile: ci sono e non ci sono, proprio come lui. E il suo foglio di spartito ideale è quello bianco, tanto lui lo riempie comunque improvvisando, e ci mette niente a farlo. Certo, lui dice che «a sedici anni non sarei mai andato a X Factor, ero troppo impegnato a imparare il mio artigianato musicale». Però è anche vero che se oggi il grande pubblico lo conosce il merito è di quello show lì. E anche per quello l’altra sera in un locale di Milano c’era la fila per applaudire il suo nuovo cd Italian songbook vol. I. Morgan è arrivato, si è fatto presentare da Luca Sofri e Matteo Bordone, ma poi si è seduto al pianoforte, ha acceso una sigaretta e via con l’improvvisazione. Il disco, come quasi tutto quando c’è di mezzo Morgan, è rimasto sullo sfondo ma fa niente: tanto vive di vita propria. Se togliamo un inevitabile tasso di autocompiacimento, è un disco coraggioso e suonato da dio. Soprattutto, è un disco imprevedibile: sono cinque canzoni (più due improvvisazioni) che vengono dalla storia della musica italiana fine anni ’50, inizio anni Sessanta. Gli autori sono famosissimi (Bindi, Ciampi, Paoli, Modugno, Endrigo), i brani un po’ meno, ma non è questa la novità. Morgan canta le versioni in inglese, una delle quali (That someone da Qualcuno tornerà di Ciampi) l’ha tradotta proprio lui. «Sono stato letterale però», spiega in un raro impeto di modestia parlando di un disco importante in cui suonano pure gli archi della Royal Philharmonic Orchestra.
Insomma, c’è da godere perché questa è musica allo stato puro, con quel tocco di romanticismo utopico che fa di Morgan un interprete unico e un compositore così libero da essere talvolta geniale.
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