Come cambiano le cose. Fino a un po’ di tempo fa, se c’era un argomento tabù per eccellenza, questo era la morte. Non se ne parlava tra gente perbene, e nemmeno sui giornali, stando ai quali non muore mai nessuno: il tale si è spento, il tal altro ci ha lasciati, qualcuno scompare e qualcun altro dà l’addio. Ma quelle cinque maledette lettere - emme, o, erre, t, e - non le metteva mai in fila nessuno.
Veramente anche adesso si fa fatica a esplicitare. A un certo punto abbiamo appreso, ad esempio, che Eluana era «finalmente libera», la stessa espressione usata per la Betancourt. Però il tema del trapasso sta diventando sempre più presente, sui media. Sabato ad esempio, su Repubblica, c’era una bella (per dire) paginata in cui la parola «morte» era finalmente esorcizzata già nel titolo: «Morire in coppia nella clinica dell’eutanasia». Il servizio, da Londra, dava conto dell’ultima avventura di una coppia di sposi, entrambi malati di cancro all’intestino, che hanno deciso di farla finita con un viaggio in Svizzera. Alla clinica Dignitas hanno potuto ricevere il consueto cocktail di pentobarbital-natrium, un barbiturico che in pochi minuti, e senza dolore, interrompe le funzioni respiratoria e cardiaca. Lui aveva 80 anni, lei 70.
È la seconda coppia inglese che sceglie il suicidio assistito in Svizzera. La prima era andata a porre fine ai propri giorni alla Dignitas nel 2003: erano entrambi cinquantenni, lui soffriva di epilessia, lei di sclerosi multipla, nessuno dei due - insomma - era malato terminale. Ma volevano farla finita, ed essendo l’eutanasia vietata per legge in Gran Bretagna, sono volati a Zurigo.
Domenica è stato il Times a dare seguito alla vicenda spiegando com’è possibile aggirare il divieto inglese per coloro che non possono permettersi il viaggio in Svizzera. È nata un’associazione di medici che si chiama «Amici alla fine» e dispensa consigli pratici a coloro che vogliono farla finita restando a casa propria. La tecnica è la stessa utilizzata per Eluana: si sospendono alimentazione e idratazione. Le istruzioni per l’uso sono contenute in un libro che negli ultimi quattro mesi è già stato ricevuto da trenta sudditi di Sua Maestà. I medici Libby Wilson e Nan Maitland spiegano: è necessario che i parenti collaborino, e che vigilino sui loro congiunti affinché non sgarrino sulla tabella di marcia (funebre). La 75enne Lily, ad esempio, ha disobbedito: aveva promesso che un gelato di mirtilli sarebbe stato il suo ultimo nutrimento, e invece l’hanno beccata mentre succhiava un cubetto di ghiaccio. I familiari hanno raccontato ai medici la propria delusione: «Ha impiegato 25 giorni per andarsene». Molto meglio è andata con Efstratia Tuson, 85 anni: voleva andare alla Dignitas di Zurigo ma c’era una lista d’attesa di un mese. Troppo. Così ha seguito per bene le indicazioni e in cinque giorni ha raggiunto l’obiettivo.
Naturalmente gli «Amici alla fine» hanno esternato al Times «la rabbia e il dolore» dei familiari per questo tipo di morte, che gli stessi medici pro death definiscono «un processo orribile». L’obiettivo è evidente: siccome la sospensione dell’alimentazione è «orribile», tanto vale introdurre l’eutanasia attiva, un bel cocktail stile-Dignitas. E questo spiega anche l’improvviso proliferare di articoli sulla «fine» su così tanti giornali. È partita la campagna per sdoganare per legge, in più Paesi, l’eutanasia.
Sulla quale, intendiamoci, ognuno può pensarla come crede. Colpiscono però certi toni entusiastici, quasi giulivi. «I miei genitori hanno fatto una cosa bella e importante», ha detto la figlia dei due inglesi che hanno appena scelto il suicidio assistito in Svizzera. «È una storia meravigliosa», ha infine commentato.
È un linguaggio così leggero da ricordare la cena di gala organizzata nei dintorni di Udine dall’avvocato di Beppino Englaro quando la povera Eluana era ancora all’obitorio.
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