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La morte di Sanaa ferì l’Italia, la Carfagna chiede i danni. È la prima volta

Quando il 15 settembre scorso in quel boschetto di Montereale Valcellina, nella tranquilla e verde provincia di Pordenone, Katawi Dafani tagliò la gola di sua figlia Sanaa, non uccise solo una ragazza appena diciottenne che voleva solo vivere, libera, il suo amore con un ragazzo italiano. Con quel fendente - che venne subito amplificato e rilanciato milioni di volte da tv e giornali - l’aiuto cuoco di 45 anni di origine marocchina diede un duro colpo «ai diritti acquisiti da tutte le donne che vivono in Italia, a prescindere dalla loro origine e dal loro orientamento religioso». Queste le parole con cui il ministro delle Pari Opportunità Mara Carfagna ha commentato ieri la decisione dell’avvocatura distrettuale dello Stato, che le ha concesso la possibilità, per la prima volta nella storia repubblicana, di porsi come parte civile in un processo per omicidio.
Il via libera, primo del suo genere, è stato comunicato con una lettera dell’avvocato distrettuale di Trieste, competente per la Procura della Repubblica di Pordenone: la Carfagna potrà costituirsi parte civile al procedimento penale che inizierà a breve nel Palazzo di giustizia del capoluogo friulano.
«È la prima volta - ha commentato Mara Carfagna - che viene riconosciuta a un ministro per le Pari Opportunità la possibilità di intraprendere una battaglia contro chi ha commesso un crimine tanto incivile». In pratica sarà l’Italia intera, in quell’aula di tribunale, a chiedere di essere risarcita dal padre assassino. Attraverso la presenza di un suo ministro, un intero Paese testimonierà lo sdegno e il rifiuto di una mondo in cui una giovane può morire solo perché innamorata di un ragazzo più grande e di un’altra religione.


«La decisione di oggi (ieri, ndr) segna una svolta, fa sì che ciascun crimine di questo genere possa essere considerato non un semplice fatto di sangue, ma un attentato contro la collettività, che le istituzioni rappresentano» ha concluso il ministro.

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