«Morti 40 civili nei raid a Tripoli» E la Nato apre un’inchiesta

Un’inchiesta «molto seria» sulle notizie relative alla morte di 40 civili a Tripoli in seguito ai bombardamenti. Così la Nato reagisce alle denunce, non ultima quella del vicario apostolico nella capitale libica Giovanni Martinelli, su vittime innocenti delle operazioni militari che avrebbero come obiettivo - in base alle risoluzioni dell’Onu - la protezione dei civili in Libia. Il generale canadese Charles Bouchard, che da ieri mattina alle 8 dirige tutte le operazioni militari dal comando Nato di Napoli, ha chiarito di essere «al corrente» delle notizie di stampa sulle vittime civili dei raid a Tripoli, ha garantito una seria investigazione per determinare l’eventuale coinvolgimento di forze Nato, ma ha sottolineato che i fatti denunciati sono necessariamente avvenuti prima dell’assunzione del comando da parte dell’Alleanza Atlantica: la responsabilità di eventuali «danni collaterali» ricadrebbe dunque sulla «coalizione dei volenterosi» e sulla sua guida americana, francese e britannica.
Ieri mattina monsignor Martinelli aveva denunciato la morte di «decine di civili» in alcuni quartieri di Tripoli interessati dai bombardamenti. In particolare, i raid aerei avrebbero colpito un edificio residenziale nel quartiere di Buslim e, seppure indirettamente, anche alcuni ospedali. Questa denuncia riapre con drammaticità la questione dei civili libici che stanno, per così dire, dalla parte di Gheddafi: già tre giorni fa un alto ufficiale aveva dichiarato di non poter escludere, nonostante le massime cautele nell’agire, che potessero venir provocate vittime civili. La risoluzione 1973 dell’Onu parla di «civili libici» e quindi, come ha spiegato ieri il presidente del comitato militare Nato Giampaolo Di Paola, ipoteticamente la Nato potrebbe attaccare i ribelli se fossero loro a mettere a rischio le popolazioni, anche se «è un fatto che finora gli attacchi ai civili arrivano da parte del regime di Gheddafi».
Intanto, mentre il regime perde pezzi eccellenti (oltre alla clamorosa fuga a Londra del ministro degli Esteri Koussa, a Tripoli si parla di altre imminenti defezioni di primo piano) le armate di Gheddafi collezionano successi contro le improvvisate forze dei rivoltosi, che la Nato non intende (parola del segretario generale Rasmussen) rifornire di armi nel fondato timore che queste finiscano in mani pericolose. Le forze lealiste stanno cercando ancora una volta di aprirsi la strada verso la strategica città di Agedabia, e aspri combattimenti sono in corso attorno a Brega, importante polo petrolifero 50 chilometri più a ovest preso e perso dai ribelli più volte in questi giorni convulsi. La tattica usata dai gheddafiani è abile: nascondono alla vista dei caccia occidentali i pezzi di artiglieria e per spostarsi usano il più possibile mezzi senza insegne sottratti ai loro nemici. Ma il segretario americano alla Difesa Gates si dice certo che Gheddafi alla fine cadrà «per mano del suo stesso popolo».
Ieri sera il Colonnello è tornato a far sentire la sua voce con un messaggio audio. Ha lanciato nuove minacce all’Occidente, assicurando che «se gli attacchi continueranno comincerà una crociata».

Ma per il governo italiano il regime di Gheddafi è ormai finito: lunedì sarà a Roma dal ministro degli Esteri Franco Frattini Mahmoud Jibril, “collega” del Consiglio nazionale transitorio con sede a Bengasi. E non a caso proprio ieri la Farnesina ha reso noto di aver ormai «tagliato tutti i ponti» con Tripoli.

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