Che cosa succede ai personaggi alla scomparsa del loro autore? Succede che a volte continuano a vivere, ma nella mente, nella penna o nella tastiera di un altro cercatore di storie. In questi giorni si sta consumando un giallo, ci si perdoni il gioco di parole, legato all’eredità di un giallista, Stieg Larsson, scomparso prematuramente e baciato da un successo postumo enorme. L’autore di Uomini che odiano le donne, La ragazza che giocava con il fuoco e La regina dei castelli di carta (trilogia pubblicata in Italia da Marsilio) il 9 novembre 2004 fu stroncato da un infarto cardiaco a Stoccolma, nella redazione della rivista EXPO, dove lavorava. Tutto il materiale pronto per la pubblicazione, già consegnato al suo editore, è uscito nei tre libri suddetti, ma pare che Larsson avesse pronta una stesura con la continuazione delle avventure del suo personaggio chiave, Mikael Blomkvist, il giornalista che fa giustizia delle donne violentate.
Era quasi un’ossessione, quell’argomento, per l’autore scandinavo. I suoi biografi ne ricercano tuttora le cause tra le pieghe della sua vita privata, magari in qualche episodio dell’infanzia. Resta il fatto che la sua morte improvvisa ha lasciato confusione fra gli esecutori delle sue presunte volontà testamentarie. La sua fidanzata sarebbe dunque in possesso di un computer che dovrebbe contenere il seguito delle vicende di Mikael Blomkvist. Il personaggio, dunque, forse rivivrà, ma solo quando si saranno placati i marosi delle contese ereditarie.
I superstiziosi e i fanatici dell’occulto o delle coincidenze stravaganti si sono già sbilanciati a parlare di una «maledizione» che colpirebbe chi cerca di emulare l’impresa compiuta negli anni Settanta dalla coppia Maj Sjöwall e Per Wahlöö: un ciclo di dieci romanzi che contengano i dieci peccati capitali (vedi box).
Resta il fatto che, soprattutto quando un personaggio è molto amato, la tentazione di serializzarlo si fa invadente. E si realizza a volte per intercessione dello stesso autore (se è ancora vivo), a volte con altri espedienti, non sempre riusciti. Classico il caso di Arthur Conan Doyle e del suo Sherlock Holmes, coadiuvato dal fedele amico, il dottor John Watson, a cui quasi sempre spetta il ruolo del narratore (e dunque anche, come si dice nelle scuole di scrittura, del «punto di vista»). Holmes compare ufficialmente nel 1887, nel romanzo Uno studio in rosso. Pochi anni dopo il suo ideatore ne è talmente ossessionato che lo fa morire (L’ultima avventura, 1891). Ma non c’è niente da fare: lo vuole il pubblico, lo vuole l’editore, finisce per rivolerlo lo stesso Doyle. Il quale scrive Il mastino dei Baskerville, ambientato prima del duello fatale, e poi trova un espediente per resuscitarlo e giustificarne la scomparsa per tre anni, cioè fino al 1894, quando ricompare ne L’avventura della casa vuota. Dopo la scomparsa del suo creatore, avvenuta il 7 luglio 1930, nessuno ha più avuto l’ardire di riesumare Sherlock Holmes. Certo, non sono mancati gli omaggi, i rimandi e le citazioni, da quel Guglielmo da Baskerville ne Il nome della rosa di Umberto Eco al recente eroe televisivo Dr. House.
Prendiamo ora, invece, un caso di riesumazione. James Bond è il protagonista delle vicende in tutti i sensi planetarie partorite dalla vivace immaginazione di Ian Fleming. Morto un Fleming (nel 1964), si dirà, non se ne fa un altro. O magari sì. E allora ecco che l’anno scorso, in coincidenza con il centesimo anniversario della nascita di Fleming, il 28 maggio 2008, è uscito, per le edizioni Penguin, Devil May Care (in italiano Non c’è tempo per morire, Piemme), scritto da Sebastian Faulks, classe 1953, un brillante e roccioso giornalista e scrittore inglese che ha ripreso il filo della storia dal 1967, anno dell’ultima uscita, postuma, di un libro di Fleming e praticamente anche l’anno in cui un preadolescente Faulks cominciava a leggere le improbabili e affascinanti gesta dell’agente 007. «Sono stati gli eredi di Fleming a commissionarmi il libro», ci ha detto Faulks. «Mi ci sono buttato dentro senza pensare a nient’altro. In sei settimane avevo finito». Faulks si era già confrontato nell’imitazione dello stile di altri scrittori, in una riuscita parodia del 2006 intitolata Pistache. In questo caso ha ripreso vezzi e abitudini tanto di Fleming quanto di Bond: il sessismo, un certo humour nero e paradossale, la deformità fisica come segno di degenerazione morale, l’omofobia e persino le assurdità meccaniche della trama. Il risultato è piaciuto agli eredi testamentari di Fleming, all’editore e anche abbastanza al pubblico.
Un pubblico che pare affezionarsi più ai personaggi che ai loro autori, come testimoniò nel 1991 il successo di vendite di Rossella, scritto da Alexandra Ripley come seguito di Via col vento, il superclassico di Margaret Mitchell datato 1936. Ma in questo gioca un ruolo fondamentale la suggestione cinematografica.
Vedremo dunque che cosa succederà se e quando J.K. Rowlings si deciderà a togliere di mezzo quell’insopportabile Harry Potter.
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