«Non mi trovo daccordo con quella storiografia che ha visto nei cattolici, durante gli anni della Resistenza, la parte più cospicua dellattendismo, di quellessere alla finestra per vedere chi sarebbe stato il vincitore». Perché il senso dello Stato, spiegava Gabriele De Rosa, grande storico del movimento cattolico scomparso ieri a Roma alletà di 92 anni, non è mai mancato ai cattolici italiani. Fin dai tempi della Rerum Novarum, quando Leone XIII auspicava una maggiore attenzione alle esigenze primarie della società più che a quelle contabili della politica. O di Alcide De Gasperi, quando nellultimo congresso del Partito popolare del 1925 osservò che non era più questione di fascismo e antifascismo ma di concorrere alla difesa dello Stato di diritto, al di fuori di qualsiasi condizionamento ideologico o religioso.
Gabriele De Rosa è stato uno dei migliori interpreti della presenza attiva dei cattolici nel grande gioco dellultimo secolo di vita italiana. Giovane redattore de lUnità, si allontanò dal Pci nel 1952 per abbracciare la carriera accademica. Che non avrebbe più lasciato se non per concedersi una partecipazione attiva alla costruzione della cosa pubblica. Era nato a Castellammare di Stabia il 24 giugno 1917 e dopo la laurea e le prime esperienza giornalistiche vinse, nel 1958, il concorso per la neonata cattedra di storia contemporanea, la prima istituita nel nostro Paese. La storia sarebbe diventata un tuttuno con la sua persona, prima con linsegnamento nelle università di Padova e di Salerno, di cui fu rettore, poi a Roma. I numerosi saggi che ci ha lasciato hanno affrontato tematiche sociali e religiose. Con particolare attenzione alle due grandi figure di Luigi Sturzo (non a caso, dal 1979 De Rosa sedeva alla presidenza dellIstituto intitolato al sacerdote di Caltagirone) e di De Gasperi, curando di entrambi numerose edizioni di scritti (Storia del movimento cattolico, 1962; Storia del Partito Popolare Italiano, 1966; Luigi Sturzo, 1977). Sua anche una importante produzione manualistica di storia per i licei, che tra gli anni 80 e 90 fornì un contraltare allinterpretazione marxista offerta dal ben più diffuso Camera-Fabietti.
Ma torniamo allo storico del movimento cattolico. «De Rosa - spiega Sandro Fontana, professore di Storia Contemporanea allUniversità Statale di Brescia, ed ex direttore de Il Popolo - deve essere ricordato come il grande scopritore di Luigi Sturzo. Dirò di più. La nozione esatta di popolarismo, nella formulazione che è ormai da tempo accettata in ambito europeo, è merito non solo di Sturzo, che ne fu lartefice, ma anche della mediazione che ne ha fornito De Rosa nei suoi saggi». Nei quali la passione politica cede sempre il passo al rigore dello studioso. Sì perché, continua Fontana, «De Rosa fu anche un grande politico. Apparteneva allala popolare e democratica della Dc. E di questa subì le vicissitudini e gli oltraggi, soprattutto quando, come senatore, fu partecipe del turbinoso passaggio tra la prima e la seconda repubblica».
Negli ultimi anni lattività di ricerca aveva lasciato spazio alla memoria. Non solo quella relativa alle esperienze politiche della maturità (La storia che non passa, 1999; La transizione infinita, 1997). Ma anche ripescando il giovanile passato di volontario in guerra (La passione di El Alamein, 2002).
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