La «moschea subito» di Tettamanzi piace solo alla sinistra

MilanoUn fiume in piena. Un fiume di parole per dire che la mancanza di una moschea a Milano è «un problema grave, che bisogna risolvere urgentemente» e che la politica non può più rimandare. Non è una dichiarazione estemporanea quella dell’arcivescovo di Milano Dionigi Tettamanzi, ma un ragionamento ben ponderato, che però arriva proprio nel giorno in cui il mondo guarda con apprensione in direzione di Teheran, la capitale iraniana da cui si attendeva, con poche speranze, un gesto di clemenza verso la prigioniera Sakineh, la donna condannata alla lapidazione dal regime teocratico per adulterio e complicità nell’omicidio del marito.
Un ragionamento accolto con grande cautela dalle istituzioni, che poche settimane fa avevano dimostrato di non avere ostilità per la «questione musulmana», accogliendo con favore l’invito del governatore Roberto Formigoni a discutere del caso moschea.
Ma la questione è controversa. L’appello del cardinale - raccolto da «La Repubblica» - è stato pronunciato infatti in piazza Duomo, a pochi metri da quel sagrato che appena un anno e mezzo fa fu invaso da migliaia di musulmani, i fedeli dei centri islamici cittadini che - alla fine di un lungo corteo che bruciò anche le bandiere di Usa e Israele - si fermarono a pregare proprio nella piazza che custodisce la storia del cattolicesimo ambrosiano. Solo pochi giorni prima, proprio nel tradizionale discorso alla città per Sant’Ambrogio, aveva fatto scalpore un altro appello del cardinale, quello per i luoghi di culto «in tutti i quartieri». E ancora, nel dicembre scorso, le bacchettate agli amministratori sui temi dell’accoglienza sono valse al pastore della più grande diocesi italiana l’attacco della Lega, che arrivò a chiedersi provocatoriamente se fossimo in presenza di un «cardinale o imam?». Anche ieri il Carroccio ha invitato Tettamanzi a «ospitare gli islamici nei suoi immensi palazzi».
È una linea vera e propria, quella del Cardinale. E l’ultima sferzata, quella di ieri, è diventata il primo caso della campagna elettorale per le Comunali. In effetti i candidati alle primarie del centrosinistra hanno fatto a gara a riprendere le parole dell’arcivescovo, nel tentativo di riportare la questione all’ordine del giorno, utilizzando il caso sollevato dalla Curia per ottenere quell’autorevolezza e quegli argomenti che ancora latitavano.
Al contrario il sindaco Letizia Moratti ha confermato di non considerare la moschea come una priorità, non prima di aver chiarito le condizioni di legalità e trasparenza in cui i centri islamici sono gestiti. Eppure la Moratti ha rivendicato: «Abbiamo avuto tante iniziative culturali e continueremo ad averne. Quest’anno è l’anno dedicato alla cultura islamica a Milano, con tante iniziative finalizzate a far conoscere e a far capire quali sono i valori della cultura islamica». «Sono un ministro, non un costruttore di moschee» ha risposto da parte sua il ministro dell’Interno Roberto Maroni: «Abbiamo già risolto il problema della “moschea” di viale Jenner - ha detto - prendendo atto della richiesta del cardinale di costruire una moschea a Milano».
La moschea di viale Jenner in effetti tutti i venerdì fino al luglio del 2008 ha invaso la strada e i marciapiedi con centinaia di fedeli, con comprensibili disagi per i residenti. Non è un mistero inoltre che in questi anni siano emersi spesso collegamenti fra progetti e iniziative terroristiche e la comunità musulmana cittadina, in particolare quella di viale Jenner.

Prima è stato dimostrato che il kamikaze di piazzale Perrucchetti, il libico Mohammed Game che si è fatto esplodere nella caserma Santa Barbara meno di un anno fa, faceva parte dell’Istituto islamico da cui poi si è dovuto dimettere anche l’imam, Abu Imad, condannato per terrorismo in via definitiva dai tribunali italiani.

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