Moschee per tutti: ora anche l’imam ha paura

Il capo del Centro di via Padova: "Spuntano sigle come funghi. C’è pericolo d’integralismo e interferenze". La replica: "La nostra affidabilità è garantita. E il lavoro col Comune serve a questo"

Moschee per tutti: ora anche l’imam ha paura

Palazzo Marino ha aperto le porte alle associazioni islamiche per parlare dei nuovi luoghi di culto da realizzare o regolarizzare. Ma il più importante fra i leader musulmani della città, Mohamed Asfa, lancia un allarme inquietante: «Spuntano associazioni come funghi, senza alcun radicamento reale. C’è il pericolo degli integralisti e delle interferenze esterne». Asfa è il direttore della Casa della cultura islamica di via Padova. È lui che nell’ultimo giorno di Ramadan ha accolto sul campetto sportivo di via Cambini la visita del vicesindaco Maria Grazia Guida, velata. Giordano, di professione architetto, nel 2009 Asfa ha ricevuto dal Comune l’Ambrogino d’oro per il suo impegno nel terreno del dialogo interreligioso e del dialogo con le istituzioni. Ma la Casa della cultura islamica non ha aderito al Caim, il coordinamento delle associazioni islamiche milanesi, guidato da Davide Piccardo, figlio di Hamza, dirigente storico dell’Unione delle Comunità islamiche in Italia (l’Ucoii).
Il Caim è formato da 12 centri islamici. Oltre agli istituti di viale Jenner e via Quaranta ci sono i centri di via Stadera, via Ferrante Aporti, Cascina Gobba, e una serie di altre organizzazioni, fra cui le comunità turche, bengalesi, le associazioni di donne e giovani musulmani. Si è creato una sorta di giallo, a tal proposito, intorno al numero dei centri islamici su cui l’Amministrazione comunale starebbe lavorando. A Padova il sindaco avrebbe parlato di dodici (lo ha riportato un giornale locale), poi Palazzo Marino ha smentito. In ogni caso lo schema è chiaro: saranno regolarizzate, sistemate o realizzate (non a spese del Comune) un gran numero di sedi, destinate ad attività sociali e culturali, ma anche di culto. Uno schema che Asfa non condivide affatto, e di cui evidenza rischi e pericoli: «Il Comune non può mettere tutti sullo stesso piano - dice - vedo che sono nate associazioni come funghi. E noi siamo preoccupati seriamente». Due le preoccupazioni del direttore: «L’ideologia integralista e i legami con l’esterno». «Ci sono interessi forti, esterni - spiega - e invece noi non dobbiamo essere condizionati da alcun Paese che non sia l’Italia». Il messaggio è molto chiaro: «Il Comune deve sapere chi lavora seriamente e chi no. Deve sapere chi lavora seriamente da anni, o da decenni. Chi ha 5mila persone a pregare, chi svolge attività come noi, e chi non lo fa». «Non possiamo negare - ammette Asfa - che nella nostra comunità ci sono delle teste calde. Noi abbiamo lavorato molto per equilibrare tutto. Anche viale Jenner, con tutte le sue contraddizioni, ha lavorato su questo, Shaari è stato abile a mantenere un equilibrio, e comunque ha avuto coraggio nel prendersi tutte le responsabilità». La proposta di Asfa è molto semplice: ripartire da una Consulta con i centri più importanti, più radicati, quelli che garantiscono di più, che hanno un legame vero con i fedeli: via Padova, Segrate, viale Jenner, via Quaranta. E altri: «Non si può escludere - per esempio - la moschea di via Meda, anche se sono italiani e non immigrati». «Ma non si può dire - conclude - tutti avranno la loro moschea».

Piccardo risponde, senza polemiche ma senza timori: «Garantisco che la associazioni che fanno parte del coordinamento hanno una loro attività seria, provata e documentata, a Milano e in Italia. I Giovani musulmani sono forse l’organizzazione più importante oggi, in Italia, e hanno 20 sedi. In ogni caso il lavoro con il Comune serve anche, o proprio, a verificare tutto questo».

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