Moser: «La mia bici fu come il supercostume Lo scandalo è l’invidia»

L’ex iridato delle due ruote: «Quando superai il record dell’ora vincemmo una scommessa tecnologica. Ma il progresso ora è stato bandito»

Ci vuole un fisico bestiale, ma soprattutto un buon body. C’è stato il periodo e la moda dei «body-guard», e ora c’è quello dei body-Speedo: il costume al laser che è diventato in queste settimane elemento di record mondiali a catena (ben 18 nell’ultimo periodo), ma anche oggetto di culto, studio e polemiche a tutte le latitudini. Il costume delle polemiche è in questo momento l’oggetto del desiderio che garantirebbe ai fortunati utilizzatori troppi benefici: migliore scorrevolezza e soprattutto un migliore galleggiamento. C’è chi lo vorrebbe mettere al bando, e chi semplicemente vorrebbe indossarlo.
Il dibattito è aperto: perché fermare la ricerca e la tecnologia? Qual è la linea di confine che rende un prodotto lecito e un altro no? È come se Valentino Rossi, ieri con le Michelin e oggi con le Bridgestone, chiedesse che il mondiale dello scorso anno venga invalidato, semplicemente perché «il dottore» disponeva di gomme meno efficaci rispetto a quelle di Stoner. E poi, se questo costume è così performante, perché non chiedono di adottarlo anche quegli atleti che al momento non lo usano?
«È accaduto anche a me quasi la stessa cosa – ci racconta Francesco Moser, campione del mondo, nonché primatista dell’ora nel 1984, con la distanza di 51,151 km -. Da una parte la ricerca e dall’altra l’invidia. Quando decisi di dare l’assalto al record di Eddy Merckx, passammo mesi a studiare ogni dettaglio e particolare. Dalle nostre officine uscì una bicicletta che si rivelò rivoluzionaria. Una bici ad asse variabile, con la ruota anteriore più piccola, molto più inclinata, capace di aumentare l’effetto CX (penetrazione nell’aria), manubrio a corna di bue e ruote lenticolari. Anche in quell’occasione ci fu chi parlò di miracolo della tecnologia e chi di scandalo. Io trascorsi mesi di prove e test alla galleria del vento di Pininfarina con il professor Antonio Dal Monte, direttore del centro di biomeccanica del Coni. Furono mesi di lavoro e confronti eccezionali. Quel record non fu solo un record sportivo, ma un’importante scommessa tecnologica che coinvolse una équipe estremamente qualificata e attenta al particolare e all’innovazione».
Una bicicletta che oggi è stata però messa al bando dall’Unione Ciclistica Internazionale. «Dopo quasi vent’anni – prosegue Moser -, l’Uci ha deciso di porre fine allo sviluppo o, per usare le loro parole, alle esasperazioni della ricerca. Quindi, chi vuole battere il record dell’ora, lo può fare solo e soltanto utilizzando una bicicletta tradizionale, in modo da riportare la figura dell’uomo al centro di tutto. Le geometrie della bicicletta devono essere quelle classiche, senza alcuna esasperazione. Certo, si può lavorare sui pesi e sui materiali, fin quando non si inventeranno di porre dei limiti anche lì». Ma sul problema dei costumi Moser cosa pensa? «Io sono uno scarso nuotatore, e ho seguito questa querelle da spettatore neanche tanto coinvolto. Dico solo che se i regolamenti permettono a degli atleti di adottarli, non ci sono problemi». E su questo punto pone l’accento anche il professor Aldo Sassi, responsabile del Centro Ricerche Mapei Sport di Castellanza. «Tutto ciò che non è proibito si può fare – dice senza tanti giri di parole Sassi, che nel suo Centro vede passare ciclisti, triathleti, podisti e sciatori -. Ho letto in verità che sotto accusa ci sarebbe un doppio tessuto, che in questo caso sarebbe vietato, ma lo ripeto: tutto ciò che non è proibito non può essere bandito a priori. È altrettanto vero che, se negli sport motoristici l’uomo e la macchina vanno di pari passo in simbiosi, in uno sport come il nuoto, l’aspetto uomo deve rimanere predominante. In questo caso però stiamo parlando di un costume, un elemento che fino a ieri era un accessorio indispensabile perché non si può gareggiare nudi e oggi è a tutti gli effetti diventato un “attrezzo”.

Il problema, se di problema vogliamo parlare, è solo nell’aspetto regolamentare. Se manca una maglia, se il regolamento presenta una falla, è lì che la ricerca va ad operare. È sempre accaduto così». Così, se nei regolamenti c’è una falla, il nuoto fa acqua.

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