Una mossa rivoluzionaria Finisce la seconda Repubblica e anche il governo Prodi

Cosa è cambiato? Mi viene da rispondere che è finita la seconda Repubblica. E che, ad affondarla, è stato proprio colui che l'aveva fondata, nel '94. Ci voleva la lucida follia di un non-politico, allora, per realizzare quell'incredibile «miracolo italiano» e portare al governo, in tre mesi, un partito appena inventato, un altro che per quarant'anni era stato abbandonato laggiù, in fondo a destra; e un altro ancora che voleva dividere l'Italia in tanti pezzettini federati. Adesso, ugualmente, ci vuole tutta l'incoscienza di un leader non omologato né omologabile, per annunciare una svolta così radicale.
Giusta o sbagliata? Lo diranno i mesi a venire. Ma con questo improvviso cambio di scena, tutti gli altri dovranno fare i conti. Lo sanno bene, l'hanno imparato negli ultimi tre lustri che Berlusconi fa sul serio, quando fa così. Ha cambiato la scena e si è piazzato là davanti, sul proscenio. Inamovibile, insostituibile. Politicamente (quasi) immortale, visto che sulla (quasi) immortalità biologica ha già dato ampie garanzie il professore Scapagnini.
Con la seconda Repubblica, s'è tolto di mezzo anche il bipolarismo. Così, in un batter d'occhio. I nemici non c'erano più da tempo, da anni lo dichiarano in tanti, da Bertinotti a Storace. Bene, gli avversari di oggi potranno diventare gli alleati di domani. Così, semplicemente. È la via berlusconiana alla semplificazione del quadro politico, il suo «basta» alla proliferazione di inutili, quasi sempre dannosi piccoli partiti. Ce ne sarà uno, grande e del «popolo», con le porte spalancate per chi vorrà firmare sotto un gazebo o prender parte alle mille assemblee, tutte assolutamente popolari. E sarà questo grande partito a confrontarsi e a dialogare con chicchessia. Gli ex alleati dietro, arrancanti e a ranghi prevedibilmente ridotti.
Col bipolarismo è stata certificata anche la fine dell'attuale governo. Clinicamente sopravvissuto al passaggio senatoriale della scorsa settimana, ma ormai relegato in panchina, nella partita che va ad incominciare. Veltroni, il «nuovo» leader, dovrà vedersela col Berlusconi rimesso a nuovo. Con lui, non con altri, dovrà discutere di riforma elettorale e di altro ancora. Via il maggioritario Italian Style - mattarellum, tatararellum, porcellum - dopo tanti esperimenti e frequenti delusioni; e avanti tutta col modello tedesco, proporzionale e sbarramento per evitare l'approdo a Montecitorio di quattro amici al bar con l'ambizione, per sbarcare il lunario, dello zero virgola e di 15mila euro al mese.
Se si farà l'accordo, bene. Altrimenti, non c'è problema. Incombe il referendum elettorale, che - in caso di successo - premierebbe con un cospicuo premio di maggioranza non la coalizione, ma il partito più votato. Indovinate quale potrebbe essere... Sì, avrebbe buone chances il Partito della libertà o come si chiamerà. Sarebbe diabolicamente geniale, per Berlusconi, fare Bingo proprio attraverso quello strumento referendario che altri avevano sostenuto senza o addirittura contro di lui.
Come finirà? Il film è appena cominciato. Di sicuro ci saranno colpi di scena a ripetizione. Non si può escludere nemmeno che, dopo il voto, i due maggiori partiti decidano «per il bene del Paese», di importare dalla Germania, oltre alla legge elettorale, anche il governissimo.
Un esecutivo Berlusconi-Veltroni? Sarebbe troppo.

I due potrebbero designare persone di fiducia, stimate, affidabili, come Gianni ed Enrico Letta. Sarebbe un modo originale ma suggestivo di avviare, così, anche una politica in favore della famiglia, sia pure soltanto di «una» famiglia. Ma da qualche parte bisognerà pur cominciare. O ricominciare.

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