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In moto per amore La Dakar scopre il fascino della mora

In quanto italiana, l’impresa l’ha già fatta: prima iscritta alla Dakar in moto. E adesso viene tutto il resto, il difficile. L’attendono quasi diecimila chilometri di trasferimenti, speciali, deserto e dune. Partenza da Lisbona il 6 gennaio. Silvia Giannetti, bella, mora, toscana, 35 anni portati da vera motociclista, per cui bene e con aggressività, ha scelto la moto, una Ktm, e i raid per amore. Amore di un ex che nel 2004 la stregò con l’Africa e stima, riconoscenza, affetto per un grande conterraneo che non c’è più. Un grande che le ha fatto da maestro e che alla Dakar ha regalato, purtroppo e tragicamente, tutto se stesso: Fabrizio Meoni, morto nel raid del 2005.
«Il mio angelo custode» l’ha definito Silvia in una recente intervista su Sportweek, ricordando il primo incontro, quando nel 2004 lo conobbe durante un corso organizzato proprio da Fabrizio. Fabrizio che poi parlò di lei ad altri toscani come lui, altri toscani stregati dall’Africa e dalla Dakar. «Tutto è legato a lui - spiegava nell’intervista - era una persona vera, lo dico sempre, per me è come un angelo custode».
Fattostà, questa centaura nata a Grosseto - con i genitori gestisce un giornalaio-tabaccheria -, proprio dal 2004 ha cominciato a fare sul serio e l’anno successivo ecco il trofeo: prima ai campionati italiani rally-raid donne. Ancora allenamenti, i primi sponsor locali, i primi a intuire e a credere nelle sue capacità, il suo coraggio, ed ecco arrivare il traguardo del rally del Marocco 2006 (prima nella categoria donne). Idem in Tunisia e poi nel prestigioso Rally dei Faraoni 2006 (bis nel 2007). Insomma, Silvia non scherza. Racconta: «Voglio solo soddisfare una mia passione, nessuno mi paga per questa avventura, l’importante è arrivare e non farsi male». Quindi il suo credo: «La Dakar è faticosissima, e una donna non ha la stessa forza fisica di un uomo. Però serve anche una grande forza mentale e quella non fa differenze di sesso».
Le sue parole trovano conferma nel passato rosa della grande corsa. Donne tenaci, forti di testa che ci hanno provato, dimostrando che la testa, i nervi le avrebbero accompagnate fino in fondo; donne che per vincere, però, hanno dovuto abbandonare le due per le quattro ruote. Segno che la fatica, la forza di cui parla Silvia, fa la differenza. Basti pensare alla francesina Martine De Cortanze che partecipò addirittura alla prima edizione della Dakar, era il 1979, in sella a una Honda 250 (arrivò 19ª assoluta). Quindi, negli anni Ottanta, l’Anquetil e nell’88 e ’89 la sfortunata tedesca residente a Bergamo, Patrizia Wolf, che non concluse la corsa, e morì in un incidente stradale. Ma l’eroina di tutte quante è Jutta Kleinschmidt, che esordì con le moto, era il 1987, riuscendo nel 1992 a vedere le spiagge di Dakar (prima fra le donne). L’anno dopo il passaggio alle auto e nel 2001 la vittoria assoluta in auto (Mitsubishi).

La dimostrazione del teorema di Silvia: visto, la forza mentale non fa differenze di sesso.

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