L'uomo seduto al vertice del lungo tavolo si riavvia i capelli lisci e spessi, rivelando uno sguardo teso. Lui e i tecnici stanno visionando i progetti da ore, ma pare tutto un assurdo rompicapo. Il problema è che le macchine inglesi rosicchiano frazioni di secondo in curva, ma poi quella maledetta rossa sprigiona una velocità incontenibile in tutti gli altri settori. Come fai a riprenderla? Ken Tyrrell molla i fogli sul tavolo e fissa negli occhi il suo ingegnere capo: dobbiamo mettere da parte la razionalità e osare di più, amico mio.
Ecco, dev'essere risuonata più o meno così, quella singolare scenetta. Perché esiste un confine labile, in Formula 1, che separa la genialità dalla follia. Negli anni Settanta quella linea veniva tracciata a matita, cancellata e riscritta ad ogni Gran Premio. Era l’epoca delle idee che sgorgavano grezze nei garage, delle officine dove l'aria era addensata d’olio e pure di certi sogni improbabili. Un’intuizione, in quel periodo, valeva ancora di più di un freddo calcolo. In quell’ecosistema romantico e pericoloso, un inglese dal volto pacato e dalla mente incendiaria, Ken Tyrrell - appunto - decise di sbattersene della logica.
Non era nato come un magnate dell’automobile: nel suo curriculum c'era scritto un più modesto ex commerciante di legname con la passione per le corse. Aveva fondato una piccola scuderia nel Surrey, trasformandola in una fucina di talenti. Con Jackie Stewart vinse tutto ciò che si poteva vincere, prima da team privato Matra, poi come costruttore indipendente. E quando cercò di spingersi oltre, si affidò - e qui la storia si riannoda - ad un ingegnere silenzioso e visionario: Derek Gardner, un tizio illuminato che aveva appreso i fondamenti dell’aerodinamica nei laboratori della Royal Air Force e poi alla Cosworth, dove si era fatto le ossa.
Fu lui a proporre la follia: una Formula 1 a sei ruote. Quattro più piccole davanti, due dietro. Non un vezzo estetico, ma un piano preciso per battere le Ferrari di Forghieri, potenti, chirurgiche, indomabili. Gardner immaginò che le piccole ruote anteriori da dieci pollici, più basse e ravvicinate, avrebbero tagliato meglio l’aria, migliorando la penetrazione aerodinamica e la tenuta in curva. Tyrrell, uomo di coraggio e fede meccanica, gli disse semplicemente: Ok, let's do it.
Il risultato fu la Tyrrell P34, un progetto tanto elegante quanto assurdo. Il muso largo come quello di uno squalo martello, le quattro ruotine anteriori quasi invisibili sotto la carena di un vellutato blu ELF, sponsor del progetto. Un 8 cilindri Cosworth DFV - parzialmente a vista - pulsava dietro le spalle del pilota, lo stesso motore di mezzo schieramento inglese. Ma qui, tutto il resto era diverso. Per gli ammortizzatori venne coinvolta la Koni, mentre un sistema ad hoc regolava la rigidezza della barra e lo sterzo muoveva, ovviamente, tutte e quattro le ruotine dell'avantreno. In coda sfoggiava un gigantesco alettone, sorretto da due piloni centrali.
Nel 1976, Jody Scheckter e Patrick Depailler la portarono in pista. Dopo mesi di sguardi increduli e risate soffocate, la P34 iniziò a convincere. Al suo anno di esordio strappò un convincente terzo posto in campionato, con il sudafricano Scheckter che colse quattro secondi posti e una vittoria storica in Svezia. Anche Patrick Depailler andò bene, conquistando quattro secondi posti e due terzi, in mezzo però ad una tonnellata di ritiri.
Nel 1977 si tentò di rilanciare il progetto: prima Dereck Gardner e poi Maurice Philippe misero mano a una versione “B”, pensata per aumentare la competitività della sei ruote. Le modifiche includevano una carrozzeria più profilata, che arrivava a coprire anche la zona del motore, costringendo così gli ingegneri a trasferire i radiatori nel muso della vettura. Nonostante gli sforzi e la presenza di due piloti di livello come Ronnie Peterson e Patrick Depailler, la P34 non riuscì ad andare oltre quattro piazzamenti sul podio, con un deludente sesto posto nel Mondiale Costruttori.
Intanto, l’idea delle sei ruote aveva acceso la fantasia di altri team: Ferrari, March e persino McLaren avviarono studi e prototipi. La più avanzata fu la Williams, che optò per quattro ruote al posteriore – una soluzione teoricamente formidabile per trazione e stabilità.
Tuttavia, la Fia mise fine a questa corsa all’innovazione, stabilendo che le monoposto di Formula 1 dovessero avere solo quattro ruote. E così la Tyrrell P34 rimase per sempre un pezzo unico, un capriccio tecnico entrato nella leggenda.