La prima notizia è che Josè Mario dos Santos Felix Mourinho, l'uomo che non ha paura neanche di se stesso, l’allenatore che sostiene di essere tra coloro che hanno fatto la storia del calcio, è timido. Parola di Massimo Moratti, che dovrebbe conoscere il suo «dipendente» speciale numero uno. Ma Mou è uno che spiazza. Ad esempio, quando i suoi colleghi celebrano il rito scaramantico del silenzio prima di un appuntamento importante, lui racconta e si racconta proprio alla vigilia di una settimana che - almeno in Italia - potrebbe elevarlo a leggenda: tre «tituli» conquistati su tre. Si confessa e confida con Giuseppe De Bellis che lo intervista in esclusiva per Panorama in una delle rare chiacchierate one-to-one concesse dal tecnico portoghese. Parla di sé, dell’Italia, del mondo, del calcio, degli allenatori, del futuro. Soprattutto il suo, sul quale si esercitano schiere di tifosi e addetti ai lavori. Ecco un’ampia sintesi del Mourinho-pensiero affidato a Panorama oggi in edicola.
Ranieri dice che è la stampa italiana ad aver creato il fenomeno Mourinho. Per lei è peggio la stampa inglese o quella italiana?
«Sono diverse. In Inghilterra lo sport è nelle ultime pagine dei giornali. Non ci sono quotidiani sportivi. C'è una passione estrema per il calcio, ma dura 90 minuti alla settimana. Il lunedì ci sono inserti di 8-10 pagine sulle partite, poi durante gli altri giorni lo spazio è poco».
Qui è peggio?
«Ripeto no. È soltanto la regola della domanda e… come si dice in italiano? Ah, ecco: dell'offerta. In Italia c'è un canale che trasmette calcio 24 ore su 24. Ci sono tante trasmissioni tv, ci sono giornali sportivi. C’è tutto questo perché la gente vuole vedere il calcio in tv e vuole leggerlo sui giornali. Non è eccessivo, è solo diverso rispetto ad altri Paesi».
Com’è vivere di calcio?
«Troppo bello. Il mio lavoro è troppo bello. È calcio, ma è anche molto di più del calcio. Un allenatore è… come si dice in italiano gestore?».
Lei è un trascinatore?
«Io sono un allenatore».
E un allenatore è anche un trascinatore?
«Se non sei un trascinatore non fare l'allenatore».
Non le manca mai la sua terra?
«No. È il mio Paese e lo amo. In Portogallo ci vado a morire».
Lei è un fenomeno?
«L’ha detto Ranieri. Io non l'ho mai detto. Ho vinto tutto in tre Paesi, non mi manca niente. Però mi fa ridere quando sento alcuni presidenti che mi paragonano ai loro allenatori che non hanno vinto neanche una coppa di Toscana o una di Reggio Calabria».
Che cos’è che proprio non le piace dell’Italia?
«L’ipocrisia del calcio. Gente che viene da me, mi dà una pacca sulla spalla, mi fa un sorriso e mi dice: “Sei il migliore, sei un grande, avanti così”. Poi appena possono mi attaccano».
Quindi tra Italia e Inghilterra è scontato che cosa preferisce…
«L'Inghilterra».
Ma lei crede che Mourinho piaccia agli italiani?
«Piace agli interisti».
E agli altri?
«Degli altri non mi importa».
Come non le importa? Non le dispiace che gli altri la odino?
«Io sono un allenatore che può essere odiato... Ma quelli che mi odiano, chissà mi vogliono nelle loro squadre. Comunque quando cambierò andrò all'estero».
Ha sempre detto che un giorno andrà in Spagna…
«Voglio vincere i tre campionati più importanti d'Europa. Quello inglese l’ho vinto, quello italiano l’ho vinto, mi manca quello spagnolo».
Dicono che Madrid sarà la sua prossima città…
«Quello che scrivono e cioè che ho un piede e mezzo in Spagna e mezzo a Milano è falso».
Quindi non è vero che va al Real?
«Allenerò il Real Madrid, sì. Ho allenato una grande in Inghilterra. Alleno una grande in Italia, allenerò una grande in Spagna».
Quanto vuole vincere?
«Tanto. Tutto. Ho già vinto tutto, ma voglio farlo ancora. Ho 47 anni e ho ancora tanto tempo. Vincere conta sempre. Può capitare di perdere, ma quando hai dato tutto non hai niente da rimproverarti».
Immaginava che all'arrivo in Italia sarebbe stato lei solo contro tutti?
«Non io contro tutti, ma tutti contro di me. È diverso».
Chi sono gli allenatori che hanno cambiato la storia del calcio?
«Non ci sono allenatori che hanno cambiato la storia. Ci sono allenatori che hanno fatto la storia».
E chi sono?
«Quelli che hanno vinto. È facile trovarli: basta prendere quelli con più trofei tra Nazionali e squadre di club e si scoprirà che sono loro ad aver fatto la storia di questo sport».
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