Mourinho in lacrime per l’addio capolavoro e il trionfo di Moratti

Madrid cancella anni di amarezze. Maggio non è più il momento delle beffe ma della storia

Mourinho in lacrime per l’addio capolavoro e il trionfo di Moratti

nostro inviato a Madrid

Non c’è bisogno della finale perfetta, se perfetta è già la cavalcata conclusa ieri sera dall’Inter. Da Londra a Madrid, passando per Barcellona, Roma (coppa Italia) e Siena (scudetto), la nuova armata del calcio italiano conclude il suo maggio trionfale con il «triplete» storico. Gli consente d’iscriversi subito al club ristretto dei campionissimi, capaci di una simile collezione, marchi del valore di Barcellona, Celtic, Manchester. Cavalcata perfetta chiusa da una finale semplicemente unica, senza strappi al motore, con i due acuti di Milito, uno per tempo, così per esprimere le cadenze del più forte, del più bravo attaccante in circolazione. E poi scandita dai voli di Julio Cesar e dalle chiusure di Samuel, dalle corse e dal sacrificio di Eto’o e Pandev, prima di registrare il peso determinante delle giocate di Sneijder. Forse è il caso di parlare soltanto di una squadra che da questa mattina può riposare al fianco del mito antico di casa Moratti, con Suarez e Corso, con Facchetti e Jair.
E questa squadra, pronta a comandare in Italia ma non in Europa, è il prodotto del lavoro certosino del suo condottiero, rimasto in piedi, taccuino nella tasca, a dettare posizioni inedite e cambi nella ripresa (Stankovic e Muntari) per cementare la falla di Chivu o rimpiazzare il passo incerto di Pandev. Peccato che abbia deciso di cambiare città, calcio e paese come succede solo ai conquistatori di razza. Saluta tra le lacrime, abbracciando il figlio più piccolo. Chiude la carriera all’Inter sollevando la coppa più ambita e attesa e dando dimostrazione concreta ai suoi prossimi aficionados dell’amore riscosso presso il popolo interista. I cori a lui dedicati farebbero intenerire anche i cuori di pietra. Ma nessuno, a Milano, dimentichi il ruolo di Moratti e la sua iniezione di forze fresche, tra luglio e gennaio: sette acquisti, uno più importante dell’altro. E tra questi l’asso Milito.
L’appuntamento con la storia, per l’Inter, comincia con lo spettacolo organizzato dalla curva: cori e scenografia guidati da Roberto Scarpini, Interchannel, basta un verso e tutta l’onda nero-azzurra lo segue. Magnifico il colpo d’occhio dello stadio dentro il quale è una goduria pazzesca vedere la muraglia bianco-rossa da una parte e la parata interista dall’altra giocare quasi a ping pong con canti e inni, senza un petardo, nemmeno uno striscione contro, solo qualche saltello per il milanista angosciato rimasto a casa. L’appuntamento con la storia, per l’Inter, si disperde lungo i tornanti degli imbarazzi di Chivu, tenero come un grissino al cospetto di Robben, e il primo intervento rude di Samuel, fatto apposta per rammentare ai rivali il primato esercitato nel proprio territorio. «Conquistiamo Madrid» cantano i 30 mila italiani, strizzati dietro la porta di Julio Cesar, mentre Maicon con un gesto inconsulto, saltando su Muller, vede rotolare la boccia lungo il braccio malandrino. L’Inter non è ancora dentro la finale anche se prova a prenderla di petto appena Sneijder decide di prendere le misure su punizione: «murata» da Butt la prima sassata dell’olandese deviata dal sodale Van Bommel; nelle mani del medesimo Butt la seconda, più lenta. Il piedino è caldo e promette di mettere in crisi l’organizzazione tedesca, puntellata dai corazzieri Van Buyten e Demichelis che soffrono il «dai e vai» tra Milito e Sneijder, i veri attaccanti sistemati da Mourinho tra le linee del Bayern.
All’appuntamento con la storia uno come Diego Milito, principe del gol e non solo, non può certo presentarsi in ritardo. È una vita che aspetta, e poi non è il tipo, come dimostrano i suoi sigilli distribuiti in quantità industriale lungo tutta la stagione. È puntuale come un orologio svizzero Diego specie se l’imboscata parte da un rinvio lungo di Julio Cesar rifinito da uno scambio tra i due compari che è come una scarica elettrica: l’argentino di testa detta il passaggio, Wesley riceve e corregge di interno per consentire a Milito d’entrare in area, guardare il portiere e fulminarlo con un dardo dritto al centro della porta, neanche tanto forte, ma preciso. Da soci sinceri i due si scambiano il piacere più tardi, prima di guadagnare l’intervallo, con Milito che imbecca Sneijder (sinistro dell’olandese ma moscio).
All’appuntamento con la gloria, l’Inter timbra il cartellino con l’uomo del destino, arrivato da Genova a miracolo mostrare. È vero Julio Cesar si guadagna la pagnotta e qualcos’altro di più prezioso con un paio di manate che tolgono il respiro ai tedeschi e anche il resto, le speranze di rimonta riuscite a Firenze e Manchester, non a Madrid dove c’è in agguato la volpe nerazzurra, Diego Armando Milito. A lui non costa molto lavorare la palletta di Eto’o in area di rigore, lasciare di sasso Van Buyten e con l’interno del destro trovare laggiù la buca del secondo gol.

A quel punto è un giochino custodire, nel bozzolo duro del centrocampo, il governo del pallone e anche della sfida che può raggiungere il suo epilogo senza altri colpi di scena, semmai garantendo a un altro vecchio pirata, Materazzi, di mettere piede nel tabellino e di sentirsi protagonista della stratosferica conquista.
Adesso possono cantare per le strade di Madrid e di Milano l’inno della Beneamata. Amala, ma non è più pazza l’Inter, maggio non è più il mese dei tormenti e degli sfottò ma l’occasione per tuffarsi nella storia.

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