Il CairoSe ne va, è già partito, è a Sharm, i militari l’hanno cacciato con un golpe. Le voci che si sono rincorse per tutta la giornata di ieri hanno fatto esplodere piazza Tahrir in un grido di gioia. Che a sera si è trasformato in urla di rabbia, quando il presidente Mubarak ha parlato in diretta sulla tv nazionale annunciando solo un passo indietro.
«Cedo i poteri al vice presidente Suleiman in base alla Costituzione, ma garantirò una transizione pacifica fino a settembre», ha annunciato grintoso il rais. Al termine del discorso, aveva fatto sapere il «faraone», andrò nella villa di Sharm el Sheik. Una ritirata strategica di fronte alla prevedbile rabbia della piazza che, dopo tutte le voci circolate nella giornata, si aspettava vere e proprie dimissioni.
Non è bastato nemmeno l’annuncio che non si ricandiderà, decisione per altro già ufficializzata nel precedente discorso televisivo. Mubarak non ha perso la tempra del vecchio leone: «Non accettiamo diktat dall’estero, morirò nella mia terra». Parole chiaramente indirizzate agli alleati occidentali che da giorni premono per un’accelerazione del suo addio. Ma anche parole che alla piazza sono suonate come una provocazione. E poco dopo la fine del discorso i manifestanti inferociti hanno invocato l’intervento dell’esercito per accompagnarli al palazzo presidenziale.
Ieri, infatti, è stata anche la giornata in cui l’esercito ha maggiormente fatto sentire il proprio ruolo nello scenario politico. Il Consiglio supremo delle forze armate ha annunciato infatti a metà giornata «l’avvio delle misure necessarie per proteggere la nazione e sostenere le legittime richieste del popolo». Il comunicato dei militari ricalca una formula con cui nel mondo arabo sono spesso iniziati i colpi di Stato. I soldati, in questi giorni di dissenso, sono stati centrali nel mantenere l’ordine nel Paese e, non avendo puntato le armi contro i manifestanti, sono diventati gli eroi della piazza.
L'atmosfera da colpo di Stato ieri era stata rafforzata dalle indiscrezioni di Al Jazeera, la seguita emittente satellitare araba, secondo la quale il comunicato dell’esercito è stato diffuso dopo una riunione degli alti vertici militari. Hosni Mubarak e il suo vice Omar Suleiman non sarebbero stati presenti. L’esercito avrebbe tentato così di bloccare il discorso del rais alla nazione, annunciato dal canale di Stato. E anche i Fratelli musulmani, l’opposizione più credibile e organizzata del Paese, hanno parlato di golpe militare: «Ha l’aria di essere un colpo di Stato», ha detto il portavoce Eassam El Ariane.
Le indiscrezioni su un’uscita di scena di Mubarak sono arrivate non soltanto dall’Egitto. A Washington, davanti al Congresso, il capo della Cia Leon Panetta ha parlato delle probabili dimissioni del leader, ma ha detto di non avere la certezza ufficiale. «Crediamo che possa passere i poteri a Suleiman». E il segretario del partito del presidente, Hossam Badrawi, è stato il primo a rivelare che il rais avrebbe parlato alla nazione in serata. «Hanno vinto», ha detto riferendosi ai manifestanti in piazza Tahrir, che nonostante le molte indiscrezioni in arrivo, hanno mantenuto un cauto entusiasmo. E non hanno smesso di gridare: «Se ne va lui, noi non ce ne andiamo». E anche il primo ministro Ahmed Shafik, ripreso dalla televisione Al Arabiya, ha parlato di una situazione «che potrebbe risolversi presto».
L’uscita di scena di Mubarak, il rais al potere da 30 anni, il leader di un Paese centrale negli equilibri della regione, sarebbe stata una vittoria senza precedenti per la piazza. E per il mondo arabo dei regimi antichi, che ha visto crollare sotto la pressione popolare due autocrati in poco meno di un mese, gli eventi egiziani sono un inedito terremoto. «Una cosa è chiara: in Egitto si sta facendo la storia» ha detto ieri Obama. E ha aggiunto che gli Stati Uniti faranno «tutto ciò che possono per garantire una transizione ordinata verso la democrazia».
La situazione, dopo il discorso di Mubarak, resta comunque complicata. Difficile prevedere quali scenari si apriranno, come reagiranno le forze in campo. Il leader del Parlamento, Fathi Surur in questo caso, dovrebbe indire elezioni. Che restano un’incognita.
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