Municipalizzate, la «casta» romana

I dirigenti delle municipalizzate capitoline hanno tutti la tessera di un club esclusivo e parecchio redditizio. Fanno parte infatti di una vera e propria «casta romana», come l’ha definita ieri Francesco Storace sul suo blog. E a leggere gli stipendi che ciascuno di loro si è messo in tasca alla fine dello scorso anno, benefit esclusi, si capisce facilmente la ragione.
A compilare il «dossier compensi» degli amministratori esecutivi delle aziende dipendenti dal Campidoglio ci ha pensato l’Ugl, dopo che la Finanziaria 2007 ha previsto la totale trasparenza per questa come per tutte le altre voci di bilancio delle partecipate dagli enti locali. Andando dunque a spulciare i conti di Atac, Ama, Acea e simili, le sorprese non mancano. Anzitutto si apprende dello stratagemma messo in campo da parecchi soggetti, che si sono fatti assumere con mansioni interne e contratti a tempo indeterminato, percependo cifre extra in aggiunta a quelle previste dal loro ruolo «di nomina», come possono essere un consigliere, un ad o un presidente. E pure nel sistema dei premi fioccano le deroghe alla norma: una delibera del 23 maggio 2007, approvata dalla Giunta Veltroni, stabiliva l’erogazione di indennità di risultato solo in base al raggiungimento di determinati traguardi. Nessuna delle società in questione ha prodotto utili, anzi spesso si è trovata ad annaspare per via dei debiti, ma quei compensi in più sono arrivati ugualmente.
Il caso più eclatante è quello dell’amministratore delegato dell’Atac Gioacchino Gabbuti, che l’anno scorso ha ricevuto più di 600mila euro di stipendio, più altri 16.594 di benefici non monetari. Di queste somme, quasi 100mila erano per indennità di risultato, sebbene l’Atac di profitti non abbia visto nemmeno l’ombra. Gabbuti, fa notare l’Ugl, «guadagna quanto tre deputati, otto dirigenti del Comune e più di una trentina di autisti che guidano i suoi autobus». Cifre analoghe a quella dell’ad di Acea Andrea Mangoni, che ha preso sì 670mila euro, ma tenendo in mano le redini di un’azienda quotata in borsa e che distribuisce dividendi agli azionisti. Tornando ai trasporti, bussando ancora in casa dell’azienda di via Ostiense, il presidente Fulvio Vento si è «fermato» a 350mila euro, il doppio dell’ad di Atac Patrimonio, Angelo Marinetti (181mila euro) e del presidente di Trambus Raffaele Morese (185mila). Cambiando settore si sono «accontentati» di 93.724 e 82.008 euro Giovanni Hermanin e Biagio Eramo, rispettivamente presidente e Ad di Ama. Al confermato amministratore di Zètema, Albino Ruberti, sono andati invece 120mila euro.
Il Comune, in tutto, ha speso più di 6 milioni di euro a favore delle figure apicali delle municipalizzate, anche se all’appello mancano diverse aziende.

Fatto sta che in molti casi non è lo stipendio per la funzione di amministratore delegato o presidente a far lievitare il conto, ma quella di dirigente che è valsa un’assunzione a tempo indeterminato per il manager di turno, a prescindere quindi dalla nomina politica e dal rinnovo della fiducia dopo un cambio di Giunta. Uno stratagemma fruttuoso, che salva le apparenze senza smettere di gravare sulle tasche dei romani.

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