da Torino
Morti allapparenza inspiegabili in seguito ad anestesie e interventi chirurgici, che creano allarme: nella stagione nera degli ospedali siciliani s'inserisce ora un ospedale del torinese, quello dell'Asl 9 di Cuorgnè. Sabato mattina è morto qui un uomo di 31 anni, Massimo Marchino, operato d'appendicite la sera precedente. La moglie, Anna De Stefano, impiegata di 27 anni, ha denunciato l'accaduto ai carabinieri e ora il caso è in mano alla vicina Procura di Ivrea (Torino). Se ne sta occupando il sostituto procuratore Roberto Ruscello, che disporrà un'autopsia per accertare le cause dell'inaspettata scomparsa di Marchino. «Non voglio dare colpe - ha affermato la moglie - ma devo sapere la verità e capire se qualcuno ha sbagliato». La donna ripercorre con disperazione la vicenda, che ha avuto inizio venerdì pomeriggio con una corsa in ospedale. «Massimo aveva molto male alla pancia - ha spiegato - quindi l'hanno visitato e gli hanno fatto un'ecografia. Subito dopo ci hanno detto di avere individuato un calcolo e gli hanno fatto una terapia d'urto, poi hanno parlato di possibili dimissioni».
Prima, però, l'ha visitato ancora un medico, intorno alle 20, e tutto è cambiato. «Ha spiegato che mio marito aveva la pancia troppo dura - ha raccontato Anna De Stefano - e che si trattava di un caso di appendicite, da operare subito». Detto e fatto, Massimo Marchino ha subito l'intervento chirurgico, poi è stato ricoverato in reparto, con la moglie accanto a vegliarlo per la notte. «Erano le 8.30, ieri mattina - ha aggiunto con sofferenza la donna - e Massimo mi ha chiesto di accompagnarlo in bagno, col permesso dei medici. L'ho aspettato fuori dalla porta. A un certo punto ho sentito dei lamenti, poi un tonfo. Ho aperto la porta e l'ho visto a terra. Il personale dell'ospedale è accorso e ha cercato di rianimarlo per quaranta minuti, ma non è servito a nulla. Praticamente era già morto tra le mie braccia». La donna ora sente crollare tutti i sogni condivisi col marito. «Avevamo deciso di mettere al mondo dei figli - ha aggiunto - invece la mia vita è finita. Mi sento colpevole, come se avessi firmato la sua condanna a morte, perché sono stata io a portarlo in ospedale. Massimo è sempre stato bene, non ha mai avuto nulla. Era un ragazzone sportivo, giocava a calcio, come portiere, lavorava in un vivaio di famiglia. Devo sapere perché non c' è più e per questo mi sono rivolta a un avvocato», Alberto Stratta, di Ivrea. Dall'ospedale al momento non giungono chiarimenti.
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