Il folk moderno è nato nei locali. Al Greenwich Village, in scantinati bui e malfamati, nasceva il talento di Bob Dylan, Joan Baez, Tom Paxton e nei pub inglesi quello del vate John Renbourn e co. Il folk lombardo - o meglio comasco - portato al successo da Van De Sfroos, cresce alla Trattoria I due castagni di Lura di Blessagno nella «pieve» d’Intelvi. Il locale è il covo della Doro Doc Band, lo strano duo che pubblica in questi giorni il doppio cd W la Suisse, con l’aiuto di Van De Sfroos e la preziosa chitarra (e produzione) dell’ex Formula 3 Alberto Radius. «Ma qui si fa tutto per puro divertimento e goliardia», puntualizzano Doro e Doc ridendo del paragone con Dylan. «Siamo musicisti per hobby, suoniamo davanti a una bottiglia di vino buono e ci abbiamo messo tre anni per incidere l’album».
Difficile trovare due personaggi più diversi tra loro. Lorenzo Vanini, detto Doc, chitarrista e pianista, «nella vita vera» - come dice lui - è un dentista noto in tutto il mondo che ha fra i suoi clienti Manuela Arcuri, Michelle Hunziker, Eros Ramazzotti e tanti vip della politica e della finanza. Dorino Righetti, alias Doro, chitarrista-cantante, è un muratore che parla solo in dialetto stretto e da ragazzo ha conosciuto la povertà, la vita di strada e qualche sbandata di troppo. «Sin da bambini ci lega una profonda amicizia che annulla qualunque differenza», dicono in coro. E la musica è il collante che li unisce definitivamente: «Suoniamo per gioco, però vogliamo rinnovare il folk, farlo uscire dal solito giro di tre accordi di fisarmonica per renderlo più attuale e più vario. Lo chiameremmo neofolk italiano, infatti nei brani c’è di tutto. Blues, jazz e in W la Suisse c’è Van De Sfroos al canto e persino una banda». Quindi cavalcate l’onda della rinascita della canzone dialettale, che Nino D’Angelo ha riportato all’ultimo Sanremo? «No, ripetiamo, la nostra è goliardia, ma fatta con gusto. Le canzoni sono una valvola di sfogo e si ispirano alla vita vissuta. I paesan parla della globalizzazione che ha snaturato le nostre radici, Pien de na gott della crisi economica, Al Capone delle avventure giovanili di Dorino». «Da ragazzo presi una brutta strada - ricorda Dorino - rubavo le auto, soprattutto le Mini Cooper, ma poi mi son rimesso in carreggiata, ora lavoro, ho le mie pecore da curare e la musica è la mia oasi, il mio sogno». Non mancano i brani un po’ scollacciati come La zanzara, «ma qualche parolaccia per ridere ci sta bene, la volgarità è altro, è la violenza e il cinismo che dominano la società».
Un disco doppio con sorpresa: il primo cd è cantato in dialetto, il secondo in italiano. «Ho fatto una fatica boia a cantare in italiano - dice Dorino - io che vengo da Abbiategrasso e vivo qui da sempre. Son stato a Milano una settimana chiuso in sala d’incisione per ottenere un buon risultato». Non è che con tutti quei clienti-amici illustri saranno anche raccomandati? Si chiederà qualcuno un po’ troppo malizioso. «La nostra raccomandazione è la perseveranza - ride Doc -; ho molti amici importanti ma non ne parlo mai, odio il gossip. Certo Eros ha sentito i nostri brani e gli sono piaciuti, un paio di volte ha suonato la batteria con noi ma in privato. Il nostro pubblico quando va bene arriva a cento persone. Solo una volta Van De Sfroos ci ha invitato sul palco al Forum di Milano davanti a 12mila fan: ci è arrivato lo stomaco in gola dall’emozione». Doc si schermisce, anche se ha suonato nel pluridecorato cd Pica! di Van De Sfroos e quindi un po’ professionista lo è.
«Devo imparare ancora tanto nella musica. Invece come dentista tengo seminari nelle università di tutta Europa e persino in California e a New York. Se fossi preparato musicalmente come lo sono in medicina sarei davvero Bob Dylan».- dal lunedì al venerdì dalle ore 10:00 alle ore 20:00
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