Muse, ecco uno show stellare Il futuro del rock passa da loro

Un tour che lascerà il segno: in scaletta anche una cover di Bublé

Paolo Giordano

nostro inviato a Bilbao

Dopotutto ci vuole poco: si spengono le luci in sala e si accende la musica. Punto e basta. Sarà che qui a Bilbao parlano tutti poco (e meno parlerebbero). Sarà che pure i tre ragazzi della band non perdono mai tempo in ciance, sarà quel che sarà eppure raramente un concerto riesce a essere così intenso ed essenziale e nutriente come quello che mercoledì alla Biskaia Arena di Bilbao ha aperto il tour mondiale dei Muse.
Grande rock. Grande anima.
Loro ci mettono poco ad annunciarsi e, sotto sotto, forse godono del contrasto tra la spettacolare complessità del palco e l’essenzialità istintuale della musica, tutta svestita, anzi praticamente nuda fino alla fine. Intanto presentiamoli: i Muse sono tre inglesi neppure trentenni che con il primo ciddì hanno venduto qualche milionata di copie e con il nuovo Black holes and revelations provano a fare ciò che è ormai fuori moda: costruirsi una reputazione con le loro canzoni, senz’altri orpelli. E così basta che inizi l’inaugurale Take a bowl per capire dove si va a parare: voce, basso e chitarra con qualche spruzzata di piano sul sentiero che dai Pink Floyd passa per Black Sabbath, Queen, Cure. Il protagonista è senz’altro Matt Bellamy, che canta spesso sulla stessa prevedibile tonalità e si compiace troppo del falsetto ma maneggia la chitarra come si deve, ispirato senz’altro da quel vecchio corso di virtuosismo che da John Mayall arriva fino a Yngwie Malmsteen o (meglio) a Joe Satriani. È un concerto a parte, quello della sua sei corde, e spesso è la marcia in più. D’altronde, di parole poche: solo un iniziale salutino in basco e qualche grugnito qui e là, poca roba, tanto il pubblico è latino solo per modo di dire, non si scompone quasi mai e rimane concentrato sulla musica persino quando durante Bliss gli cade dall’alto una festosa nuvola di palloni. Anzi, per spicciarsi molti tirano fuori gli accendini e li fanno scoppiare. Ciò che invece non cambia è il perfetto equilibrio della musica guidato per mano da un batterista monolitico e da un bassista gregario quanto basta per lasciare a Bellamy (che tra l’altro vive sul lago di Como a pochi chilometri da George Clooney) tutto lo spazio che si merita. Altro che Chris Martin dei Coldplay, molto gonfiato dai mantici del gossip ma desolatamente glabro di guizzi e passione, preso com’è a declamare testi identici al suo rock: lisci e uniformi come il Sahara dopo una tempesta di sabbia. Invece i Muse hanno molti spunti lirici, parlano della realtà com’è senza le lenti della solidarietà e, soprattutto sfoggiano slanci visionari come nella nuova Knights of Cydonia e nella monumentale Stockholm syndrome che chiude lo show.

A proposito, in tutto questo rock forsennato spunta anche una cover di Michael Bublè, Feeling good. Se l’ascoltasse, piacerebbe pure a lui, tant’è bella.

In Italia: 1 dicembre Roma, 2 Bologna, 4 Milano. Info al 899.500.022

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