Il museo di Bartali finisce in tribunale

La vedova e il figlio rivogliono indietro i cimeli donati a suo tempo: sostengono che al posto del promesso museo sia sorto soltanto un ristorante

Nessuno pensava che finisse così, Ma la vedova di Gino Bartali, Adriana, e uno dei figli, Andrea, promuoveranno una causa civile per riottenere i cimeli (biciclette, coppe, maglie, targhe ed altro) donati a suo tempo ai promotori del museo dedicato al grande campione di ciclismo che fu inaugurato a Ponte a Ema (Firenze) nel 2006. Lo riporta il settimanale Toscana Oggi che nell'edizione in edicola domani ricostruisce la vicenda del museo di Bartali. La vedova di Bartali, in quanto proprietaria dei cimeli, ha dato mandato al legale di famiglia di citare in giudizio l'associazione «Amici del museo del ciclismo Gino Bartali» per riaverli indietro.
La struttura, si spiega in una nota, «realizzata in un terreno di proprietà della locale casa del popolo, avrebbe dovuto essere gestita in piena trasparenza e invece non è mai veramente decollata e la famiglia Bartali ne è stata tenuta completamente all'oscuro».

Secondo la vedova di Bartali «quella che doveva essere una sala polifunzionale ospita adesso un ristorante, mentre sembra che il museo non abbia neppure trovato un presidente». Inizialmente Adriana e Andrea Bartali furono coinvolti per contribuire al museo di Gino, un'operazione che, però, presto li ha delusi.

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