Museo cercasi per raccontare la vita del libro

Un convegno della Fondazione Mondadori con esperti da tutto il mondo

Chi ancora pensa al museo come al «salotto delle Muse» si trova oggi in minoranza. Il museo è ormai, nell'opinione corrente, un luogo di aggregazione e un luogo pubblico per eccellenza. Lo dimostrano le file ai botteghini, tantopiù in occasione delle mostre, e se questa sia solo una moda lo dirà il tempo. Certo non è facile, per noi italiani soprattutto, concepire qualcosa come un museo del libro. Il libro è un oggetto piatto, spesso poco appariscente, sfuggente addirittura. Eppure il libro è il mezzo di comunicazione più materiale che esista. Ed è uno strumento a tecnologia perfetta, come le forbici o l'ombrello: non può essere perfezionato più di tanto. Allo stesso tempo il libro è, per eccellenza, il principale veicolo di conservazione della cultura. Fatte queste premesse, si capisce meglio il perché del convegno internazionale di oggi a Milano, al palazzo della Triennale, intitolato «Che cosa è un Libro? Lo si impara al Museo», promosso dalla Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori, con il patrocinio della Regione Lombardia e della Fondazione Cariplo.
In Europa i musei del libro sono già una realtà. Il principio che li anima può essere espresso con un aforisma attribuito a Gustav Mahler: «La tradizione è custodia del fuoco e non adorazione della cenere». Basta vedere l'enorme complesso museale di Marbach, in Germania, nella valle del Neckar, noto anche come la Collina di Schiller. Nato alla fine dell'Ottocento per intuizione di uno studioso che aveva appena visitato la sala dei manoscritti del British Museum di Londra, il Museo Schiller è in continua espansione, anche edilizia, ed è un punto di riferimento della cultura europea, oltre che di ritrovo e di soggiorno per intellettuali di ogni paese.
A fare il punto della situazione è un volume ricco di informazioni e di immagini, Imago Libri - Musei del libro in Europa, che esce oggi per i tipi della casa editrice Sylvestre Bonnard. L'autrice, Maria Gregorio, ha percorso in lungo e in largo il Vecchio Continente, dalla fondazione Martin Bodmer di Cologny, vicino a Ginevra, dove il lascito di un collezionista e mecenate è divenuto esposizione permanente, con vista sul lago Lemano, fino all'unico museo del libro italiano, o almeno a quello che più gli si avvicina: il museo Bodoniano di Parma, intitolato al grande tipografo, stampatore e editore (nato a Saluzzo nel 1740), inventore del carattere tipografico che da lui prese il nome e ammirato dai grandi spiriti del suo tempo, compreso Stendhal, che andò apposta a fargli visita. Il museo Bodoni è al terzo piano della biblioteca Palatina di Parma. Eppure un eventuale museo del libro che dovesse nascere in Italia, ben difficilmente vedrebbe la luce in una biblioteca. C'è bisogno di spazi appositi e Milano, con la proficua rete di contatti tra enti locali, editoria e mondo accademico, quegli spazi saprebbe trovarli.
Il perché lo spiegheranno oggi gli illustri relatori del convegno, compreso l'editore Luca Formenton, e in parte ce lo anticipa la direttrice della Fondazione Mondadori, Luisa Finocchi: «Un museo del libro innanzitutto non dev'essere un requiem del libro, ma uno spazio in cui sia possibile mostrare ai visitatori il lavoro editoriale, presentare visivamente l'opera letteraria dall'ideazione alla realizzazione del “prodotto”».
Un museo deve collocare infatti un insieme di oggetti nella forma di un mondo di rappresentazioni coerenti. E deve sorgere in un contesto tale che ogni percorso dia al visitatore l'impressione di crearsi da sé il proprio significato. Come in una mostra d’arte, il pubblico va guidato alla scoperta delle relazioni tra gli oggetti, non solo in senso cronologico, ma in base a una coerenza di rapporti. Perciò la documentazione non può essere composta di soli libri, ma deve provenire dagli archivi delle case editrici, degli autori, dei traduttori, degli agenti letterari, dei librai, degli illustratori, dei fotografi e dei tipografi. «Non si può promuovere la lettura senza promuovere la cultura del libro», conclude Luisa Finocchi. Per dirla con Martin Bodmer «niente sostituisce il fascino che promana dagli originali. Per questo è nata in noi l'idea del museo, la necessità del museo». Un bel salto in avanti rispetto alla tradizionale vocazione conservativa delle biblioteche.
Del resto, che dall'oggetto-libro emani un'aura magica, un impulso al timore reverenziale, lo sanno bene i collezionisti accaniti. Alcuni di essi non hanno alcun timore a parlare di feticismo. «Non riesco a saziarmi di libri. E sì che ne posseggo un numero probabilmente superiore al necessario», scriveva Francesco Petrarca nel 1346. Chiunque ami la letteratura può rimanere ore incantato a osservare le bozze della Ricerca del tempo perduto, con le innumerevoli correzioni per mano di Proust (a Cologny per esempio ce ne sono). O che dire del museo Gutenberg a Magonza? Quella Biblia Latina stampata nel 1452, a 42 righe per pagina, ha davvero cambiato la storia dell'uomo nel mondo. Allo stesso modo Lipsia va ben fiera del suo antico ruolo di «fondaco degli editori tedeschi», e lo si vede benissimo nel suo museo del libro. «Gli oggetti sono manufatti culturali, costruiti in una data forma dalla società che ne fa uso. Modificano il mondo e noi lo riscopriamo e ridefiniamo costantemente attraverso di essi» ha scritto Steven Lubar.
Di questo e altro ancora si discuterà oggi alla Triennale di Milano, a partire dalle 10. Charles Méla da Cologny, Elaine Wright da Dublino, Heike Gfrereis da Marbach, Leo Voogt dall'Aia, metteranno a disposizione la loro esperienza.

Per l'Italia parleranno tra gli altri Caterina Silva del museo Bodoniano e Armida Batori, dell'Istituto centrale per la Patologia del libro, di Roma. Perché sì, i libri possono anche ammalarsi e perfino morire. Ma non c'è niente di peggio, per una civiltà che si rispetti, che assistere alla loro agonia senza far nulla per preservarne lo spirito e la sostanza.

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