Leffetto è stato quello di una memoria nostalgica infranta: il museo dei giocattoli a Villa Ada non si farà. Quello di Villa Ada nasceva da un temerario acquisto - nove miliardi di lire - della giunta capitolina veltroniana. Come avviene in tutte le democrazie partecipative, le decisioni sono della politica, ma poi nei casi specifici devono intervenire gli esperti. Questo è vero anche nella realizzazione dei progetti culturali.
Quello dei giocattoli è poi ancora un capitolo amatoriale, anche se è tutto illustrativo della vita della borghesia dellOtto-Novecento. Esistono in atri Paesi musei dei giocattoli: a Norimberga, capitale dei giocattoli di latta, cè il museo storico della produzione che per quasi un secolo occupava decine di fabbriche; ad Alicante, in Spagna, cè il museo nazionale dei giocattoli della Paya che ha operato nella prima metà del Novecento; a Parigi cè il museo di Fernand Martin, un artigiano che nel suo laboratorio nel quartiere del Maro agli inizi del secolo scorso ha creato centinaia di automi riproducenti tutte le attività lavorative delluomo della rivoluzione industriale e artigianale.
Questi sono musei che onorano e illustrano un capitolo della storia non solo industriale di un Paese. La fabbrica italiana di giocattoli, la Ingap di Padova, famosa durante gli anni Venti/Trenta, è andata distrutta e i manufatti dispersi. Negli Stati Uniti il museo della città a Park Avenue ospita anche i giocattoli nel racconto illustrato di New York.
Da noi i giocattoli sono oggetti ambiti per soddisfare la nostalgia degli adulti. Come deve essere un museo che raccoglie i giocattoli? In realtà, solo a sfogliare la legge n. 4/93, nota come legge Ronchey sui musei e i beni culturali, si arriva a una conclusione sconvolgente: il sistema museale italiano è tutto da rifare.
Commentando quella legge sulla rivista «Lazio, ieri oggi domani», già nel 1994, lideatore dellestate romana Renato Nicolini, in un lungo e argomentato saggio, aveva sottolineato la funzione non solo espositiva e collezionistica ma soprattutto didattica che un museo deve avere.
Umberto Croppi, oggi assessore capitolino alle Politiche culturali, nel prendere quella decisione - condivisa anche dagli ambientalisti in difesa di uno dei più estesi parchi pubblici romani - deve aver tenuto presente le finalità indicate nelle legge Ronchey. Una scelta palesemente culturale, quindi, e non politica.
Intendiamoci: stiamo parlando dei musei nei quali i reperti possono essere sistemati in modo da vivere nel contesto storico, sociale, culturale da cui presero forma ed espressione. Musei dove raccogliere gli oggetti del Modernariato, dallepoca della prima macchina a vapore del 1835 a Liverpool a opera di George Stephenson, fino al 1963, anno di nascita della plastica, opera del chimico italiano Giulio Natta che per questo ebbe il premio Nobel.
Perché quella è stata lepoca della nascita della borghesia, delle grandi esposizioni universali, quando cominciano a entrare nelle case - non più due camere e cucina, ma con il soggiorno - gli elettrodomestici, la radio, il salotto e i quadri alle pareti, e magari anche le enciclopedie a rate e le stampe di Enotrio e Bruno Cagli.
I giocattoli, pur nel loro significato riduttivo del vero, rappresentano tuttavia il mondo, la realtà quotidiana e di questa, ad essi contemporanea, devono poter restituire la storia oltre a rinverdire una memoria che svela radici inesplorate alle nuove generazioni. Ecco allora che il museo dei giocattoli non è una ludoteca ma una sorta di memoria giocosa, come un libro illustrato che entra in forma sussidiaria nei programmi scolastici.
I giocattoli in un museo del genere, come aveva indicato la legge Ronchey, diventano allora parole-guida di un percorso che attraversa lOtto-Novecento.
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