"Canto perché il mondo esca dalla caverna"

L’artista Enrico Ruggeri parla del nuovo album ispirato al mito di Platone e dei suoi libri: "Oggi temiamo la vita reale"

"Canto perché il mondo esca dalla caverna"

Enrico Ruggeri ha appena pubblicato il disco La caverna di Platone e ora è in tournée fino al 27 settembre, ultima tappa a Roma. Lo incontriamo in occasione della Milanesiana, la rassegna ideata e diretta da Elisabetta Sgarbi, al Teatro Galli di Rimini. Si parla del disco ma anche dei due libri di Enrico Ruggeri, il romanzo Un gioco da ragazzi e il memoir 40 vite, entrambi editi dalla Nave di Teseo. Il teatro è esaurito.

Partiamo dal titolo: perché La caverna di Platone?

«Stavo scrivendo una canzone sulle grandi illusioni dell'amore. Cercavo parole che stessero bene con l'ultima ingannevole illusione e mi è venuto in mente come la caverna di Platone, da lì la canzone ha preso un percorso diverso rispetto a quello che io avevo preventivato. Finita la canzone ho pensato che era un titolo perfetto. Platone immaginava che le persone chiuse al buio in una caverna scambiassero ombre proiettate sul muro per la realtà. Una volta liberati e usciti, si sentivano a disagio perché preferivano il buio illuminato da una lampada rispetto al vivere la vita reale».

Come noi con i social network?

«Veniamo da anni in cui ci stavamo abituando a dire: piove o non piove, fammi vedere su internet se piove, invece di aprire la finestra».

C'è anche un richiamo a quello che abbiamo vissuto con il Covid?

«Sì, ci siamo abituati a non credere alle nostre sensazioni ma a quello che ci veniva suggerito».

Suggerito da chi?

«Dal potere. Quel periodo, come l'abuso dei social, ci ha resi meno critici, meno consapevoli, più pilotabili. Stiamo cercando di rimuovere il 2020 ma ahimè è ancora presente».

Quest'anno ricorre il cinquantesimo della morte di Pier Paolo Pasolini, assassinato nella notte del primo novembre 1975. Il poeta è dedicata a lui? Lei canta che...

«Il libero pensiero ha un prezzo da pagare».

Il prezzo è stato altissimo.

«È sempre stato altissimo, pensiamo a Socrate, a Giovanna d'Arco, ai primi che hanno detto: ragazzi mi sa che è la Terra che gira intorno al Sole e sono stati considerati dei pazzi. Pensiamo a Oscar Wilde, a Ezra Pound. Pasolini era un cane sciolto. Veniva dalla sinistra e da Gramsci ma è stato uno dei primi fustigatori della sinistra stessa. Non c'è solo il famoso discorso sui ragazzi di Valle Giulia. In quegli anni la sinistra radicale... Il Pci era omofobo e Pasolini, uomo libero e omosessuale, veniva visto con imbarazzo, anche con sdegno».

La guerra è un tema portante del disco. C'è un brano sulle guerre di oggi, Ucraina e Gaza: Zona di guerra. C'è anche un brano sulla strage di Gorla: La bambina di Gorla. Quanto è difficile far passare una canzone così nell'industria discografica?

«Dipende. Se intendiamo far passare in radio è possibile, se intendi farla passare come fenomeno social è impossibile, però il mio scopo non è passare in radio ma esprimere delle cose per le persone che mi amano e mi seguono. Sarei imbarazzato ad avere dei fan che non stimo. Tutte le volte che conosco qualcuno che mi dice: ho i tuoi dischi, sono venuto qua ad ascoltarti, capisco che è una persona con la quale ho delle affinità, una persona con la quale in un'altra vita sarei magari andato a cena, sarei diventato amico o mi ci sarei fidanzato. Per onestà intellettuale non credo che sarei uno capace di scrivere le hit da affidare alle cantanti sculettanti di oggi. Non è la mia indole, non sono capace.

Può dire qualcosa di più sulla bambina di Gorla?

«Il 20 ottobre 1944 un aereo americano ha dell'esplosivo del quale si deve liberare perché è volato all'obiettivo sbagliato. Alcuni aerei riescono a raggiungere il mare, altri invece, uno in particolare, decidono, per non rischiare, di buttare le bombe avanzate dove capitava. Capitano su una scuola elementare a Milano, nel quartiere periferico di Gorla. Muoiono 198 bambini e tutte le maestre. Mia madre insegnava in quella scuola. La bomba cade in un giorno in cui non è presente. Ma i suoi bambini muoiono. Credo che mia madre abbia avuto la sindrome della sopravvissuta e trovo strano che l'ispirazione per scrivere questa canzone mi sia arrivata così tardi perché è una storia della quale si parlava molto in famiglia. Mia madre in quel periodo abitava a Monza. Il tram da Monza a Milano spesso veniva mitragliato. La gente scappava fuori e arrivava una seconda squadriglia americana che inseguiva le persone in fuga. La guerra era anche così. Naturalmente queste storie contrastano con la narrazione dei vincitori. Quindi non venivano raccontate e non compaiono nei libri di storia».

Lei canta, in Das ist mir Würst, che l'Europa delle multinazionali non è la sua Europa. Come se la immagina?

«Quando ero bambino ci avevano detto che l'Europa sarebbe stata un'immensa nazione fatta di culture condivise, poi crescendo scopri che in realtà è un agglomerato di banche dove qualcuno decide la moneta, e a un certo punto gli Stati non sono più sovrani... Nella nostra vita ci sono centinaia di cose decise da qualcuno al di sopra dei governi nazionali. E questo è ovviamente pericoloso perché poi quando ci dicono che ci dobbiamo riarmare e spendere centinaia di miliardi... immaginate le scuole, gli ospedali, tutte le cose che fai con quei soldi... No, ci dobbiamo riarmare perché le industrie d'armi hanno bisogno di essere foraggiate. E poi arrivano i cantautori italiani, che si sono battuti per la pace per cinquant'anni, e ora dicono: no, in effetti bisogna riarmarsi perché magari tra sette-otto anni siamo pronti e quindi se ci invadono... Come se quelli che eventualmente ci volessero invadere dicessero: aspettiamo sette anni che si riarmino bene, poi li invadiamo».

Adesso vorrei tornare sui suoi libri partendo da Un gioco da ragazzi edito dalla Nave di Teseo. È ambientato negli Anni di piombo. Lei come li ha vissuti?

«È la storia di due fratelli educati al senso della giustizia dal padre. Ma i due fratelli intendono cose diverse per giustizia. Uno si schiera con la parte che, almeno teoricamente, difendeva i deboli, quindi con la sinistra. L'altro fratello va in un liceo milanese nel quale la sinistra esercitava una dittatura del pensiero. Quindi il suo senso di giustizia viene canalizzato nell'opposizione a quello che a lui sembra un regime. Uno diventa un terrorista di sinistra e l'altro un terrorista di destra. Avranno una storia nella quale si inseriscono episodi veri, Ramelli, Fausto e Iaio, le bombe... quel grande spartiacque che fu per l'Italia il 12 dicembre 1969. Finiscono i festosi e gioiosi anni '60, combinazione mancavano diciotto giorni al nuovo decennio, la bomba di piazza Fontana cambia la percezione del sociale. Da lì in poi si parte per una strada che non ha ritorno e io ho raccontato questo mondo in queste due storie parallele».

Una storia che poi è sfociata in violenza terribile, perfino assurda, folle. Secondo lei, ad esempio, perché ogni volta che si parla di Sergio Ramelli viene fuori una polemica?

«Recentemente ho partecipato alla commemorazione per i 50 anni della morte... Sergio Ramelli era un ragazzo che cinquant'anni fa in un liceo milanese scrisse un tema contro le Brigate rosse. Il tema venne appeso nella bacheca della scuola con sotto la scritta questo è il tema di un fascista. Stiamo parlando di un ragazzo del liceo, credo non avesse ancora 17 anni.

Pochi giorni dopo torna a casa e viene aggredito da un commando e ammazzato, in realtà morirà dopo quaranta giorni di agonia, a colpi di chiave inglese. Ancora oggi ho ricevuto valanghe di insulti per avere partecipato alla commemorazione di un ragazzo di 17 anni ucciso a sprangate per un tema. Cinquant'anni dopo».

Commenti
Pubblica un commento
Non sono consentiti commenti che contengano termini violenti, discriminatori o che contravvengano alle elementari regole di netiquette. Qui le norme di comportamento per esteso.
Accedi
ilGiornale.it Logo Ricarica