
Ma cosa sono 'ste cose? A metà della Liga Street, lo stradone con le memorabilia di Ligabue di fianco al mega palco di Campovolo, c'è uno stand con i flipper dedicati al rocker, il suo volto, i giubbotti stile Las Vegas, i versi delle sue canzoni. Alcuni ragazzini, perché nel pubblico ci sono ragazzini, si chiedono: «Belli ma mai visti, a cosa servono?». Centomila persone sotto il caldo vero del pomeriggio e l'umidità della sera. Sul palco, sterminato, si celebra «La notte di Certe notti», ossia i trent'anni di una canzone che è uno slogan degli anni Novanta, quelli vissuti in provincia, quelli che «se ti accontenti godi, così così» e che oggi sembrano così distinti e distanti perché dai, il così così non esiste più. O tutto o niente. O bello o brutto. Ti amo o ti odio. I flipper la Generazione Z non li riconosce neanche, che cosa sono quelle robe lì che gira una pallina? Eppure ci sono anche loro, i ventenni, sotto il palco a cantare I ragazzi sono in giro che apre il concerto e rende l'idea di che cosa accadrà. La gigantesca celebrazione di un tempo che è passato ma solo «così così» perché non c'è vecchiume nostalgico in questo concerto, c'è soltanto una versione aggiornata di un rito, il concerto, che si celebra sempre meno come si dovrebbe, ossia cantando nel microfono, suonando con le dita sulla tastiera o con le bacchette della batteria in mano. In questo, proprio mentre parte Lambrusco e popcorn e sui megaschermi corrono le immagini di Las Vegas, Ligabue resta il testimone di un'epoca che tanti dei centomila di Campovolo hanno vissuto ma gli altri se la sono soltanto sentita raccontare e avrebbero voglia di viverla per davvero. Un flipper può aiutare. «La notte di Certe notti» è un caso di nostalgia mancata, oppure chiamatelo rimpianto presente, che accomuna tutti, chi c'era e chi
non c'era, mentre Fede Poggipollini attacca il giro di chitarra de Il giorno dei giorni e Ligabue ricorda che «sono vent'anni dal primo Campovolo e anche dal disco Nome e cognome» e prima di diventare altro da sé e prende una posizione schietta e frontale in Cosa vuoi che sia: «Questi vogliono dirci che occuparci della crisi climatica sia un lusso». È l'inizio della parte schierata di un concerto che, prima della commovente Lettera a G, in Le donne lo sanno elenca sui video i volti di tante donne, da Monica Vitti a Sandra Mondaini e Bebe Vio, che sono simboli e basta, no ideologia, no schieramenti. Sono elaborate con l'Intelligenza artificiale, proprio come le gag di Trump e Putin che brindano nello spazio, così come Giorgia Meloni con Emmanuel Macron, Elon Musk e Zuckerberg, Xi Jinping ed Erdogan, von der Leyen e Draghi e persino Mattarella che alla fine brinda guardando il pubblico con aria un po' sconsolata. «Quando hai a disposizione la tecnologia, devi capirne i limiti». Qui sono limiti umani, diciamolo, umani come quelli di Lenny Ligabue, il figlio batterista che al primo Campovolo aveva 7 anni e qui pesta come un ossesso sui tamburi anche se il padre gli ha consigliato «di non farsi sovrastare dalle emozioni».
Rispetto a trent'anni fa, quando Certe notti esplose in radio a fine estate, oggi il mondo è in guerra, le nottate tra amici sono sempre più rare e, casomai, gli amici si sentono su whatsapp per condividere video presi dai social, altro che «certe notti coi bar che son chiusi e al primo autogrill c'è chi festeggerà». Oggi agli autogrill dopo una certa ora non si può più brindare. Epoche distinte e distanti. «Non mi sarei mai immaginato che quel brano facesse così tanto successo».
Il trait d'union tra allora e ora è anche Luciano Ligabue, classe 1960,
uno che nel disco Buon compleanno Elvis chiedeva Hai un momento dio? e oggi ammette che «mi sto allontanando dalla religione cattolica perché Dio è così distante e circondato di frasi cupe come bevete il mio sangue o mangiate il mio corpo. Ho bisogno di leggerezza e di chiedermi se anche Dio, ogni tanto, si sente solo». Prima di Il mio nome è mai più si sente un estratto del monologo di Benigni a Propaganda Live e poi sugli schermi escono le scritte «Basta con il massacro a Gaza» ma non solo quello, anche quello in Ucraina, in Sudan e gli altri 56 massacri in corso nel mondo. Non c'è una sola guerra, insomma.
Qui sotto il palco, in questa proiezione degli anni Novanta rivisitati al tempo dei social, nessuno è solo visto che sono ammassati a cantare «Balliamo sul mondo oh oh» e a seguire il palco mobile che è una gigantesca Cadillac rosso fuoco sulla quale la band suona mentre un truck, sapete di quelli che viaggiano implacabili sulle highway americane, la porta in giro per Campovolo come fosse Las Vegas: «Qui mi immagino le due Las Vegas, quella del divertimento ma anche quella della corruzione e delle faide». A quelle il popolo di Ligabue, che è lo straordinario elogio della normalità, reagisce Urlando contro il cielo e poi cantando a squarciagola Certe notti «fin quando fa male, fin quando ce n'è».
Infine i centomila impazziscono quando lui annuncia che «La notte di Certe notti» tornerà tra un anno esatto anche a San Siro, 20 giugno 2026, e si sa che anche quella volta la gente di Ligabue risponderà tutto esaurito tra flipper e rock senza età.