Quando la radio vede "Rosso"

In questa fase, da quando i social hanno occupato la scena senza avere una identità precisa, tutti i media hanno provato a mutuarne i contenuti, i linguaggi, i ritmi

Quando la radio vede "Rosso"
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Ciascun media sopravvive perché conserva la propria identità. La tv fa la tv. E la radio resiste da cento anni proprio perché fa la radio. Sono riflessioni che vengono in mente quando, al venerdì, nella Suite di Rtl 102.5 ai conduttori si affianca Il Rosso, «uno degli streamer più famosi in Rete» (foto), insomma una star dei social. Per carità, le contaminazioni sono vitali ma proprio per conservare la propria identità sempre più forte e riconoscibile. Capita ciclicamente. C'è stato un periodo in cui qualcuno ha pensato di fare la radio con gli stessi volti della tv ma non ha funzionato. In questa fase, da quando i social hanno occupato la scena senza avere una identità precisa, tutti i media hanno provato a mutuarne i contenuti, i linguaggi, i ritmi. Ma i risultati confermano la regola, ossia che la radio funziona quando fa la radio, quando resta riconoscibile e unica.

Prendete la Suite, un programma settimanale tra le 21 e le 24 che ha trovato un proprio equilibrio: i conduttori si sono amalgamati, c'è la bravissima Francesca Cheyenne (al suo posto c'è talvolta Jessica Brugali), poi ci sono il «baricentro» Niccolò Giustini, lo scombiccherato ma centrale Simone Palmieri e Diego Zappone preciso come un metronomo. Ma cosa c'entra il Rosso con le sue storie pecoreccie dalla Thailandia (venerdì scorso) e con uno slang che con la radio c'entra poco? Nulla. È un esperimento che si spera rimanga tale.

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