Musical Il «Faust» senza lieto fine ma tutto da cantare

L’attenzione crescente che si sta sviluppando attorno al musical, comincia a offrire sviluppi inattesi. Un genere che per antonomasia richiede grandi spazi e mezzi generosi, oggi approda sui palchi ridotti dei teatri «off». Senza per questo perdere in efficacia espressiva. È il caso del Faust di Goethe ridotto a musical «da camera» per le raccolte misure del teatro Sala Uno (in scena fino al 21 dicembre) a opera di un valoroso manipolo d'interpreti. Scelta coraggiosa, in gran parte premiata dai risultati. La riduzione di Alessandro Hellmann e il libretto di Marco Kohler, infatti, semplificano il colosso originale alle sue linee essenziali (forse anche troppo essenziali: perché eliminare, a esempio, la salvezza finale del protagonista?) mediando tra i dilemmi esistenziali di Faust e la sua storia d’amore con l’incolpevole Margherita. La regia di Claudio Boccaccini, inoltre, movimenta una trama in sé più filosofica che dinamica, e grazie a un accorto uso di moduli scenici (scale e pedane in continuo movimento), sopperisce all’inevitabile nudità dello spazio. Ma un musical, si sa, ha la sua ragion d’essere soprattutto nella musica. Lo spartito composto da Roberto Chioccia deriva dalla struttura del musical anglosassone: cantato dall’inizio alla fine, impegna gli interpreti in una sorta di «declamato» continuo.

Ne consegue che quanto più si distacca dallo schema «melodrammatico», offrendo brani più personali e cantabili, tanto più la musica di Chioccia coglie nel segno, risultando accattivante, coinvolgente. Servita da un cast vocale che rappresenta il risultato migliore dello spettacolo.

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