Se si presta fede a Hesitation Wound, Ferita da esitazione, di Selman Nacar, ieri in concorso nella sezione Orizzonti, la giustizia turca fa acqua da tutte le parti, non solo metaforicamente, visto che piove dal soffitto dell'aula dove si sta svolgendo un processo per omicidio: un operaio da poco licenziato, con precedenti di furto, è accusato di aver ucciso il suo ex datore di lavoro, ricco, potente, influente. Per il pubblico ministero non ci sono dubbi sulla colpevolezza, al punto di non prendere in considerazione nessuna delle prove a favore dell'imputato, né delle incongruenze di cui è piena la ricostruzione del delitto che lo vedrebbe protagonista. Anche il giudice da cui dipende la sentenza non ha dubbi: ne ha visti troppi di delinquenti di quel genere per aver bisogno della certezza della prova...
Anche la difesa però, come vedremo, non brilla per coscienza etica. Canan, l'avvocatessa a cui è stato affidato il caso, è giovane, è rampante, è brillante, ha studiato all'estero, ha esercitato a Istanbul e ora è nella città di provincia dove è nata, perché deve assistere anche la madre, ricoverata in ospedale e ormai all'ultimo stadio: morte cerebrale, hanno decretato i medici... Quello che lei può ancora fare è dare il suo consenso per il trapianto degli organi, ma finora ha esitato, fra sensi di colpa (negli ultimi anni a casa lei non c'è mai stata, ed è stata la sorella a prendersi cura della madre, da sana come da malata), speranze illusorie in un miracolo, il peso terribile che comunque comporta una decisione del genere...
Tuttavia, il giudice ha una nipote bisognosa di un trapianto di reni e fargli sapere in anticipo che c'è un donatore disponibile può, in un Paese dove l'autorità conta più della correttezza legale, essere una buona moneta di scambio...
Al suo secondo film (il primo, Between two dawns vinse il premio come migliore pellicola al Torino Film Festival di due anni fa), Selman Nacar mette troppa carne al fuoco e la cuoce troppo rapidamente, un'ora e venti circa di pellicola: crimine-giustizia-moralità e poi burocrazia, corruzione, indolenza e formalismo... L'eccesso tematico nuoce alla stessa comprensione della storia: c'è un testimone che potrebbe scagionare l'accusato, ma non si capisce bene perché non si presenti; quest'ultimo non è così privo di un movente come all'inizio ci viene raccontato; l'avvocatessa più che delle attenzioni legali ha verso il suo assistito un atteggiamento quasi da fidanzata...
«È un film che si svolge nell'arco di ventiquattrore - spiega il regista - si sviluppa intorno a un'udienza e si concentra sulle posizioni morali di Canan, che influenzano la sua vita personale e professionale. Il mio focus non è sull'esito delle sue scelte, ma sulle conseguenze del suo processo».
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