da Roma
Interno notte. Auditorium Conciliazione di Roma l'altra sera. Campo lungo sul palco con tutti i premiandi alle spalle del conduttore Tullio Solenghi. Piovono David di Donatello sul film La ragazza del lago. Tocca al miglior attore. Primo piano di Antonio Albanese, poi Lando Buzzanca, Nanni Moretti, Kim Rossi Stuart, Toni Servillo. Stacco, Luisa Ranieri apre la busta: «Vince Toni Servillo». La regia passa sul volto di Moretti. Gli occhi sono alzati al cielo, quasi a dire: «Com'è possibile?». Un'immagine che rimarrà negli annali del cinema.
Nessuno aveva mai visto Moretti così impietrito, praticamente attapirato in una sorta di Waterloo personale. Un'espressione incredibilmente simile a quella di Massimo Boldi che, ricorderete, nel 1996 in Festival di Pupi Avati rimaneva anche lui di sasso quando all'ultimo momento gli portavano via la Coppa Volpi alla Mostra di Venezia sulla scia di quanto realmente accaduto dieci anni prima a Walter Chiari con Romance di Mazzucco.
Nanni Moretti ha sentito per un attimo l'inebriante odore del trionfo, forte delle 18 candidature su 19 categorie dei David, quando il primo premio a inizio serata era andato al «suo» Caos calmo grazie ad Alessandro Gassman migliore attore non protagonista. Tutti, lui per primo, si aspettavano che la diga delle statuette si rompesse e li sommergesse. La storia è andata in modo ben diverso: solo tre premi a Caos calmo di Antonello Grimaldi di cui due in categorie cosiddette minori come la musica e la migliore canzone. Mentre il regista esordiente Andrea Molaioli, già assistente di Moretti, con La ragazza del lago non faceva altro che salire sul palco. Tanto che al decimo David, quello più importante come miglior film, gli è scappato dalla bocca un ironico: «A questo punto spero che non scatti un sentimento di antipatia». Dietro di lui Moretti in cuor suo annuiva.
A fine serata, spente le luci delle telecamere, Moretti è stato un fulmine nel cercare di lasciare la sala. Placcato dai giornalisti sul trionfo di Molaioli la sua prima risposta stizzita è stata: «Ma perché non andate a intervistare lui?». Accompagnata da un'excusatio non petita: «Comunque avevo annunciato che mi accontentavo di tre o quattro premi e così è andata». Sì certo, ma non proprio nelle categorie desiderate. Poi ha preso la via della diplomazia: «Servillo l'ho appena visto a teatro e mi è piaciuto tantissimo. Molaioli lo conosco da vent'anni, sono felice per lui e glielo dirò». Coniugato al futuro. Il presente, nonostante l'abbiano visto ballare come sul Titanic fino alle cinque del mattino alla festa organizzata dal produttore Domenico Procacci alla limonaia di Villa Torlonia programmata in vista di un successo mai avvenuto, racconta di una notte tormentata dalla domanda su come sia stato possibile che i 1258 componenti della giuria dell'Accademia del cinema italiano tra una tornata e l'altra, dalle nomination alla votazione finale, abbiano deciso di punirlo quasi personalmente ed escluderlo in maniera così netta dai giochi. Un po' com'è successo qualche giorno fa alle elezioni con la sinistra messa alla porta. E la risposta forse è altrettanto banale: non lo volevano vedere premiato. Punto.
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