Le Vele di Scampia, tra identità e voglia di rinascere

Un viaggio nel quartiere di Scampia, tra la sofferenza e il senso di comunità di un popolo

Foto di Davide Cerullo
Foto di Davide Cerullo

Le pareti scrostate e gli spazi grigi ricordano molte archeologie industriali. Il tempo e la mancata manutenzione hanno lasciato pesanti tracce sulla Vela Celeste di Scampia. Anche le tante storie e persone che hanno popolato questo luogo speciale hanno lasciato molti segni. Quello che con occhi disincantati può sembrare solo un fallimento urbanistico, con altri può rivelare una certa malinconica poesia. La complessità dell’architettura, delle sue scale e degli abitanti che la popolano può ricordare alcune opere di Maurits Cornelis Escher.

Qui ogni storia ha sempre un vissuto molto forte, non si può camminare in questo luogo senza esserne conpenetrati. Vi è però anche un grande senso di normalità, a volte di allegra quotidianità. Un luogo lontano dagli anni della piazza di spaccio e in cui le Vele si erano trasformate in trappole per i propri abitanti. La Vela Celeste sarà l’unica che non verrà demolita e oggi sta vivendo una piccola rinascita. Infatti, alcuni abitanti di quelle che verranno distrutte, hanno ottenuto di potervi restare per qualche anno, in attesa di ottenere nuove case.

Gli appartamenti stanno quindi rinascendo a spese dei nuovi abitanti. Alcuni stanno anche sistemando alcune parti degli spazi comuni.

Chi conosce gli abitanti del palazzo si rende conto facilmente del microcosmo di storie profonde, a volte difficili, ma anche di grande umanità, che qui si possono incontrare. Spesso basta guardare i volti delle persone per intuirle.

Non a caso lo street artist francese, Ernest Pignon Ernest, portato qui da Davide Cerullo, ex spacciatore, oggi fotografo, scrittore e poeta, ha deciso di esporre qui la sua opera su Pasolini.

In occasione del quarantesimo anniversario della morte di Pier Paolo Pasolini, Ernest Pignon Ernest ha disegnato una pietà laica che ha incollato nei luoghi legati alla vita e alla morte del poeta: il centro di Roma, la spiaggia di Ostia, i vicoli di Matera, il cuore di Napoli e le Vele di Scampia. Un doppio ritratto in cui Pasolini porta nelle sue braccia il proprio corpo senza vita e interpella abitanti e passanti con sguardo severo: “Cosa avete fatto della mia morte?

Parlando delle Vele di Scampia, luoghi che Pasolini non ha fatto in tempo a vedere, Ernest Pignon Ernest, racconta: “Ho incollato la pietà in vari luoghi legati alla figura di Pasolini. A Ostia, a Napoli davanti a Santa Chiara dove aveva girato il Decameron. Cercavo però dei luoghi dove potessi incontrare il sottoproletariato di “Accattone” o “Mamma Roma” e nella capitale non li ho trovati. Li ho trovati invece a Scampia. Un quartiere moderno e senza storia dove di colpo sono arrivate tante persone dalle campagne o da rioni terremotati nel 1980. Pasolini non vide questi luoghi, ma li avrebbe amati”.

Anche gli street artist iraniani Nafir e Khamoosh, hanno lasciato anche loro una decina di lavori nella Vela Azzurra. Gli artisti hanno realizzato il loro progetto in collaborazione con l’Associazione “L’albero delle Storie”, di Davide Cerullo.

Nafir si ispira alla poetessa Forough Farokhzad, la quale afferma che la vita “è un ripetersi del ripetere”. Un concetto che si ritrova spesso nei tappeti, come nella ceramica. È una questione numerica e dietro questa ripetizione verso l’infinito si cela il circolo della vita. Non è in realtà una ripetizione sempre uguale, come potrebbe sembrare all’inizio, ma semplicemente uno scorrere circolare del tutto simile a quello dell’esistenza.

Khamoosh ha invece realizzato dei ritratti degli abitanti delle Vele mentre svolgono le loro attività quotidiane.

L’abbattimento della prima Vela delle tre che verranno abbattute, è slittato di qualche settimana a causa dei lavori preparatori. Si è dovuta sgomberare l’area da rifiuti pericolosi, come l’amianto, dai mobili e dalle suppellettili lasciate dalle persone che hanno abbandonato l’edificio.

Le sette vele di Scampia furono costruite tra il 1962 e il 1975, prendono il nome dalla loro forma triangolare, che ricorda quella di una vela latina. Larga alla base, la costruzione va restringendosi man mano che si sale verso i piani superiori. Non si trattava di semplice case popolari, ma di un progetto di periferia umanista, purtroppo non riuscito.

Ispirandosi “ai principi delle unités d’habitation di Le Corbusier, alle strutture a cavalletto proposte da Kenzo Tange e più in generale ai modelli macrostrutturali, Di Salvo articolò l'impianto del rione su due tipi edilizi: a torre e a tenda. Quest'ultimo tipo, che imprime l'immagine predominante del complesso delle Vele, è contraddistinto, in sezione, dall'accostamento di due corpi di fabbrica lamellari inclinati, separati da un grande vuoto centrale attraversato dai lunghi ballatoi sospesi a un'altezza intermedia rispetto alle quote degli alloggi. Erano inoltre previsti centri sociali, uno spazio di gioco e altre attrezzature collettive. Che però non furono mai realizzate”.

Se nel quartiere vi sono associazioni che sono favorevoli all’abbattimento, come il Comitato Vele, ve ne sono altre, come l’Albero delle Storie, che sono contrarie. Davide Cerullo, il suo responsabile sostiene che le Vele si possano bonificare, nonostante l’amianto. Chi presenta le Vele “come luoghi in cui esiste solamente la camorra o la droga, non gli rende giustizia. Ora bisogna lavorare per togliere loro di dosso questo marchio. Non sarà buttando giù le Vele che si sconfiggerà la Camorra, la struttura architettonica non c’entra nulla”. Per fortuna, secondo Davide, negli ultimi anni qualcosa per migliorare la situazione è stato fatto. Si è visto un certo riscatto del territorio. Bisogna, dire, aggiunge, “che dove cresce il male, cresce sempre anche il bene. Molte persone del quartiere si sono rimboccate le maniche. Anche il lavoro delle forze dell’ordine è stato prezioso. Oggi la camorra si deve nascondere per fare i propri traffici. Sono state smantellate le piazze di spaccio. Non ci sono più le ambulanze che venivano a prendere le persone in overdose”.

Cerullo ricorda come dopo le faide del 2004 e del 2011, dove ci sono stati molti morti, anche innocenti, tutto questo sia sparito. Certo la droga ancora esiste, solamente non si compra più a Scampia e non si fa più alla luce del sole. Per lui le Vele oggi sono un simbolo. Sicuramente, racconta, “sono diventate anche il centro di un business che utilizza l’immagine stereotipata di questo luogo per far guadagnare visibilità a persone ed associazioni. Però per fortuna sono anche uno spazio creativo dove tantissima gente ha lavorato molto per cambiare la propria vita e questo luogo”.

Anche Ornella Zerlenga, architetto, professore e vicedirettore del Dipartimento di Architettura e Disegno Industriale dell"Università degli studi della Campania Luigi Vanvitelli. Il progetto di Franz Di Salvo, racconta, era un progetto socialista. “Con fondi pubblici prevedeva residenze tutte esposte al sole e ben distribuite. Il sistema a doppi fronti accostati consentiva di unificare i collegamenti orizzontali. Inoltre molti alloggi venivano destinati a centri sociali per la crescita dei bambini e per il sostegno agli anziani. Il tanto criticato passaggio interno è quello che ha subito più manomissioni. Innanzitutto, la riduzione di quasi due metri fra i fronti interni e la sostituzione di una tecnologia leggera, come acciaio e ferro, con una pesante molto più redditizia. Infine, le cucine, che erano inizialmente previste in un unico ambiente soggiorno, ora sono collocate verso l'interno con problemi di introspezione che nel progetto originario non c'erano, dato che all'interno erano originariamente previsti i servizi igienici con finestre alte e vani per armadiature. Infine, per evitare problemi di aerazione e luce fra i due fronti, erano previste altezze diverse per i due fronti e lo svuotamento di vani non adatti alla residenza o attività sociali".

Tutto ciò, sostiene la professoressa, "non è mai stato realizzato, insieme alle attrezzature come i negozi di beni primari che per decenni e ancora ora sono assenti”. Secondo lei, abbattere le Vele è una scelta demagogica. Scampia, racconta, oggi è “consapevole di tutto ciò e si riconosce positivamente nelle Vele, che possono essere riqualificate e rigenerate a destinazione mista, residenza e servizi, compresa l'arte”. Le vele sostiene “sono oramai un'identità nazionale e internazionale. Abbatterle significherà privare il territorio di identità e mettere a tacere quanto questa parte di popolazione ha dovuto subire. In primis, l'assenza di lavoro. Abbatterle significherà mettere a tacere le responsabilità mancate.

Le Vele devono avere un futuro, onesto, come la maggior parte delle persone che vuole abitarle".

La gente sale e scende per le scale mal ridotte del palazzo, si affaccia dai balconi, mentre i bambini giocano a pallone nei pianerottoli. L’esistenza scorre come in un eterno cerchio della vita.

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