Narsete e Giuseppe

Si tratta di due martiri persiani del IV secolo. La loro storia, in breve, è questa. Il re di Persia, Shappur II, si era messo in testa di unificare religiosamente il suo regno (più vasto dell’odierno Iran) obbligando tutti al culto di Ahura Mazda, che prevedeva l’adorazione del fuoco e del sole. La minoranza più tenace era quella cristiana, e contro di essa si scatenò la persecuzione cruenta. Nel quarto anno di questa, Shappur II si trovava nella città di Sahgerd e volle giudicare personalmente coloro che erano stati arrestati per resistenza alla legge sul culto. Il prigioniero di maggior prestigio era il vecchio vescovo della città, Narsete, che fu condotto al cospetto del re in compagnia del suo giovane discepolo Giuseppe. Il re, al vederli, rimase colpito e commosso dalla nobiltà dei tratti nell’anziano prelato, nonché dalla serena fermezza del viso di quell’altro, che era poco più che un ragazzo. Shappur II, allora, usò ogni argomento per cercare di salvare capra e cavoli: la vita ai due e l’applicazione della legge che egli stesso aveva emanato. Pregò l’anziano Narsete di salvarsi la vita eseguendo il prescritto sacrificio al sole, ma quello gli rispose tranquillamente che era stato cristiano fin dalla sua fanciullezza e non aveva intenzione di cambiare idea proprio adesso che aveva più di ottant’anni.

D’altra parte, quanto avrebbe potuto aggiungere alla sua vita? Forse pochi anni ancora, acciaccati dalla vecchiaia per giunta. E per così poco doveva giocarsi la vita eterna? Anche Giuseppe dichiarò che non avrebbe rinunciato alla sua fede. Furono decapitati.

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