La Natività secondo Sartre un racconto nato nel lager

«Bariona o il figlio del tuono»: la Giudea occupata dai romani diventa un simbolo per la ribellione all’oppressore

Un Natale in compagnia di Sartre. Un Natale diverso, non c’è che dire. E, all’orizzonte, una prospettiva alternativa. Arriva sul palcoscenico del Teatro Arsenale (via Cesare Correnti 11, informazioni allo 02-8321.999) lo spettacolo diretto da Paolo Bignamini, Bariona o il figlio del tuono, il racconto sulla Natività scritto dal filosofo francese per cristiani e non credenti durante la Seconda guerra mondiale mentre era prigioniero dei tedeschi.
Un racconto vibrante. Un forte sentire religioso che diventa pièce teatrale: lo spettacolo, scritto e rappresentato dall’autore nel Natale del 1940 per i suoi compagni di prigionia nel campo di Treviri, ruota intorno alla figura di Bariona, capo di un villaggio nelle vicinanze di Betlemme.
Sullo sfondo dell’ambientazione teatrale una Giudea oppressa dal dominio romano e vessata dalle continue richieste di tributi. Lo spettacolo si presenta al pubblico milanese come una sorta di esperienza religiosa che raggiunge il suo apice nella descrizione del rapporto d’intimità che lega la Madonna al Bambino. Ma la lettura di Sartre va oltre. Lo sguardo dell’autore arriva, infatti, a contemplare anche l’esperienza politica che, nella chiara allusione alla Francia occupata dai nazisti, vuole creare aggregazione e solidarietà tra i prigionieri - credenti e non credenti - in modo da sollecitarli alla resistenza contro gli invasori.
Singolare ma fondamentale episodio dell’esperienza umana sartriana, lungi dal rappresentare un’incrinatura nel percorso dell’ateismo del filosofo, Bariona o il figlio del tuono è piuttosto la spia della futura vittoria del Sartre “umanista”, che il pubblico ritrova in opere come La critica della ragione dialettica, sul Sartre “individualista” cui matura ne La nausea.
«Se ho preso il mio soggetto dalla mitologia del cristianesimo, non significa che la direzione del mio pensiero sia cambiata. Fu un momento durante la cattività - scriveva l’autore francese nel 1962 -, si trattava semplicemente, d’accordo con i preti prigionieri, di trovare un soggetto che potesse realizzare, in quella sera di Natale, l’unione più vasta di cristiani e non credenti».
Ed è proprio il forte legame umano dettato dalla situazione comune a far “riesumare” tutti quei valori che sembravano ormai andati perduti.

Dietro al sincero lirismo dei passaggi più commuoventi (come l’annunciazione o la descrizione del presepe), le parole di Sartre e le note del pianoforte suonato da Giovanna Colombo e Debora Chiantella danno vita a un sottotesto di vera e propria resistenza, una partitura di riferimenti nella quale i romani conquistatori erano i nazisti e i pastori giudei i prigionieri del campo.

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