Il naufragio di Bersani

Il Pd, senza una guida autorevole e responsabile, si è preso la polmonite, non respira più

Il naufragio di Bersani

Se il Pdl, senza la coperta di Silvio Berlusconi, si è beccato il raf­freddore, il Pd, senza una guida autorevole e responsabile, si è preso la polmonite,non respira più. L’ex Pci da anni ha una salute cagionevole, che gli impedisce di vincere qualche ve­ra partita politica, ma ora è sotto la tenda a ossigeno. La prova decisiva che sia biso­gnoso di una terapia intensiva si è avuta a Genova, dove si sono svolte le cosiddette primarie (per le prossime amministrati­ve). Che si sono rivelate un disastro per i democratici. Le due candidate ufficiali del Pd, l’attuale sindaco Marta Vincenzi e Roberta Pinotti, sono state battute da Marco Doria, che non è un Pinco Palla qualunque, è molto stimato dalla sini­stra vendoliana (generica e parolaia) ep­pure non rappresenta la linea di Pier Lui­gi Bersani, ammesso che questi ne abbia una, ma un vago desiderio di cambia­mento, di novità, di aria fresca.

Un tipo, per intenderci, come Giuliano Pisapia che difatti l’anno scorso stracciò Letizia Moratti (Pdl) a Milano e tutti coloro i qua­­li, tra i progressisti, avevano puntato a far­si sostenere dal Pd. Le vicende di Genova e del capoluogo lombardo per altro non sono casi isolati. Qualcosa di simile era accaduto in Pu­glia, a Napoli e a Cagliari. Nelle Regioni e nelle città in cui, attraverso le primarie, si cerca di far scegliere alla base il candida­to alle elezioni locali, i democratici desi­gnati dal vertice cedono il passo a uomi­ni non d’apparato. Il che, per i dirigenti, è una batosta tale da indurli, probabilmen­te, a maledire il momento in cui fu entu­siasticamente introdotto il sistema stes­so delle primarie, affidando la selezione non più alla segreteria bensì alla gente.

E la gente, parliamoci chiaro, dando la preferenza a personaggi non «militarizzati», fuo­ri dagli schemi rigidi imposti dall’al­to, ha dimostrato con ogni evidenza di essere stanca delle solite minestri­ne di Bersani e di chiedere una svol­ta. Sono lontani i tempi in cui le indi­cazioni dei leader erano considera­te ordini che nessuno osava discute­re. Gli elettori, se interpellati, non hanno difficoltà ad esprimersi e van­no dove li porta il cuore, cioè lonta­no un miglio dalla testa di Bersani. I compagni non abbandonano la ca­sa madre, ma pretendono che a ge­stirla non sia un gruppetto di papave­ri. In altri termini hanno preso sul se­rio la genialata delle primarie e le usanodemocraticamenteperanda­re contro chi le ha inventate. Un boo­merang.

In pratica il segretario non conta più niente: se lui dice ai suoi di fare una cosa, loro fanno l’esatto contra­rio. Ciò dovrebbe fargli capire che sta sbagliando tutto. Se non muterà in fretta strategia, si ritroverà con un partito che a livello nazionale segue una rotta e, a livello locale, dove i cit­tadini hanno un peso, ne segue un’altra. Un partito con due anime, burocratica a Roma e ribelle in peri­feria. Una contraddizione così striden­te prima o poi produrrà effetti deva­stanti. Il più grave, l’impossibilità per le gerarchie di stringere eventua­li alleanze con il centro e garantire la governabilità.Se a tutto questo si ag­giunge l’assopime­nto dei parlamen­tari del Pd provocato da Mario Mon­ti e i suoi tecnici, obbligati a votare in favore di provvedimenti di destra (berlusconiani) per non buttar giù l’esecutivo da essi stessi voluto, il quadro politico della sinistra presen­t­a una confusione di idee impressio­nante. Nota finale.

Poniamo che la legi­slatura resista sino alla scadenza na­turale, 2013.

Se da qui ad allora i parti­ti non si rifonderanno allo scopo di formulare proposte credibili per i cit­tadini, e se non riusciranno a rifor­mare le istituzioni e la legge elettora­le, con quale speranza andranno al­le urne evitando di farsi cancellare dall’astensionismo?La crisi del siste­ma non è dietro l’angolo: è in atto. I leader se ne sono almeno accorti?

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