Naufragio in Libia, Lampedusa di nuovo al collasso

La guerra di Gheddafi per salvarsi potere e pelle continua con tutti i mezzi. Con quelli bellici, anche ben poco ortodossi come dimostrerebbero due distinti episodi avvenuti a Misurata, e quelli dell’emigrazione clandestina, sorta di bomba a orologeria sociale rilasciata contro l’Italia “traditrice”. I primi riguardano soprattutto la “Sarajevo libica”, dove aerei inviati da Tripoli avrebbero violato la no-fly-zone imposta dalla Nato per andare a bombardare quattro depositi di greggio al porto della città ribelle sotto assedio da oltre due mesi; i secondi, una volta di più, l’isola di Lampedusa, nuovamente investita dall’arrivo di centinaia di immigrati partiti dalla Libia ma provenienti in gran maggioranza da diversi Paesi africani. Ieri, infine, il governo italiano ha smentito il Cnt di Bengasi che aveva sostenuto di aver concordato con Roma una fornitura d’armi «molto presto»: invieremo solo «materiali di autodifesa», ha replicato la Farnesina.
C’è una polemica aperta tra gli insorti libici e l’Alleanza Atlantica per il grave episodio di ieri, che avrebbe implicato la violazione della zona di non volo da parte di aerei lealisti. I ribelli denunciano che l’altra notte il principale deposito di carburante di Misurata è stato colpito in un attacco aereo che ha provocato un grande incendio, solo parzialmente domato per scarsità di mezzi adeguati. La Nato, secondo i rivoltosi, sarebbe stata avvertita in anticipo di quanto stava per accadere, ma non ci sarebbe stata risposta alla richiesta di aiuto. I gheddafiani, sempre secondo i ribelli, avrebbero impiegato per il bombardamento dei piccoli aeroplani del tipo solitamente utilizzato per disinfestare le colture, la Nato al momento si limita a dire che sta «verificando le informazioni» sull’accaduto. A complicare il quadro un’altra dichiarazione dei ribelli di Misurata, secondo i quali tra giovedì e venerdì alcuni elicotteri con gli emblemi della Croce Rossa e della Mezzaluna Rossa avrebbero sorvolato il porto: credevamo che fossero lì per portare aiuti umanitari, hanno detto, ma poi abbiamo capito che avevano seminato delle mine. Secondo un’altra fonte dei rivoltosi, sarebbero stati proprio elicotteri così camuffati a compiere l’attacco contro i depositi di carburante.
E mentre in Libia il conflitto continua anche in Tripolitania, soprattutto nella città ribelle di Zenten e al posto di confine con la Tunisia di Dehiba, l’altro fronte - quello dell’emigrazione di massa in direzione delle Pelagie - è più che mai aperto. Nella notte tra venerdì e ieri a Lampedusa sono arrivati due barconi stracarichi, che hanno complessivamente portato sull’isola oltre 800 persone, in gran parte provenienti secondo le loro dichiarazioni da Paesi africani quali la Somalia, l’Eritrea, la Nigeria e altri. Questi immigrati, provenendo dalla Libia in preda alla violenza o da Paesi dove infuriano conflitti, avranno diritto allo status di rifugiati e non saranno rinviati in patria come invece accade ai tunisini da quando è stato raggiunto un accordo col nuovo governo di Tunisi. Altri 700 africani subsahariani che si trovavano a bordo dell’ennesima carretta del mare partita con ogni probabilità da un porto libico sono stati soccorsi ieri sera, portando il totale degli arrivi in sole 24 ore a circa 1500 persone.
Ben più tragico destino è invece toccato agli occupanti di un altro barcone partito venerdì mattina dalla Libia. A causa del sovraccarico (era stipato addirittura da 600 persone) è naufragato davanti alla costa a poca distanza da Tripoli. Decine di persone sono annegate, mentre molti sarebbero riusciti a raggiungere a nuoto la riva, che distava non più di un centinaio di metri.
L’assalto all’Italia dalla Tunisia sembra invece arginato. Ieri il ministro dell’Interno Maroni ha reso noto che per la prima volta le autorità tunisine hanno fermato in mare un barcone carico di clandestini e l’hanno obbligato a fare ritorno.

Per Maroni questa è la prova che «l’accordo fra i due governi funziona». Quanto alla Libia, ha osservato rimarcando un concetto assai caro alla Lega, «bisogna che la guerra finisca presto o gli arrivi massicci di profughi da quel Paese diventeranno quotidiani».

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