Amministrazione giudiziaria per "Valentino Bags Lab". "Caporalato e sfruttamento"

Accertamenti dei carabinieri in sette opifici. Contestato omesso controllo nei subappalti

Amministrazione giudiziaria per "Valentino Bags Lab". "Caporalato e sfruttamento"
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«Condizioni di sfruttamento dei lavoratori», norme di sicurezza «violate», ad esempio con la «mancanza dei sistemi di protezione dei macchinari», rimossi per velocizzare la produzione. In una parola: caporalato. Ieri la Sezione misure di prevenzione del Tribunale di Milano ha disposto l'amministrazione giudiziaria per la Valentino Bags Lab srl, società di produzione di borse e accessori della controllante Valentino spa, la casa di alta moda fondata da Valentino Garavani e oggi di proprietà di un fondo della famiglia reale del Qatar, «Mayhoola for Investments».

I giudici contestano alla società (non indagata), che ha sede nell'hinterland milanese, un presunto omesso controllo sullo sfruttamento del lavoro in alcuni opifici cinesi nella catena dei subappalti della produzione. Gli accertamenti condotti dal Nucleo ispettorato del lavoro dei carabinieri sono stati coordinati dal pm Paolo Storari. I carabinieri hanno ispezionato sette opifici «a conduzione cinese», dove sono state appunto riscontrate numerose irregolarità. Scrivono i giudici Rispoli-Spagnuolo Vigorita-Canepari nel decreto di commissariamento: «È fuori di dubbio che Valentino Bags Lab non abbia effettivamente controllato la catena produttiva, verificando la reale capacità imprenditoriale delle società con le quali stipulare i contratti di fornitura e le concrete modalità di produzione». Sempre su richiesta del pm Storari in passato lo stesso destino era toccato a società di altri grandi gruppi della moda, come Armani, Dior e Alviero Martini spa. Casi, sottolinea la Samp, poi «tutti conclusi positivamente con la revoca della misura», dopo percorsi virtuosi. Malgrado queste vicende abbiano avuto «risonanza mediatica», Valentino Bags Lab «ha continuato ad operare con fornitori che sfruttano i lavoratori e che utilizzano manodopera in violazione delle norme di sicurezza».

Dai controlli nei capannoni e dalle testimonianze raccolte sono emersi, tra l'altro, dormitori abusivi, «ragazze cinesi» che iniziano a lavorare per la «cucitura» e «l'incollaggio pelli» prima delle 8 e dopo le 19 «continuano ancora», lavoratori «in nero» che «dormono e mangiano al piano superiore». La società del gruppo Valentino spa avrebbe agevolato questi comportamenti nella filiera produttiva. In particolare sono accusati di sfruttamento del lavoro gli amministratori di Pelletteria Elisabetta Yang srl e di A&N Borse Milano srl e in più è stata individuata una «filiera produttiva occulta» di altre tre ditte, con passaggi di «blocchi di lavoratori», anche filippini, da un opificio all'altro.

I giudici parlano, ancora, di «pericoli per la sicurezza dei lavoratori» e di «ritmi lavorativi sicuramente non convenzionali», anche nelle ore notturne e nei festivi. Lavoratori anche clandestini che «si trovavano in situazioni abitative degradanti» negli «stessi luoghi di lavoro o in stabili adiacenti», con «ambienti abusivi e insalubri» e «condizioni igienico sanitarie sotto minimo etico», operai «sempre a disposizione del datore di lavoro e di fatto continuamente sorvegliati», pagamenti «sotto soglia». Ai sette indagati vengono contestati inoltre reati fiscali.

Agli atti le dichiarazioni di un responsabile di Bags Milano, ditta cui la Valentino Bags Lab dal 2018 commissionava circa 4mila borse al mese, con costi che oscillavano tra i 35 e i 75 euro a pezzo (per poi finire sul mercato della griffe a 2-3mila euro). Così l'interrogato sulle sub-forniture: «Valentino Bags Lab non le autorizza, anche se ne è a conoscenza perché io lo comunico, diciamo che chiudono un occhio».

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