Borgo Santa Cecilia, a cena dalla chef cacciatrice

Nel cuore dell’Umbria un piccolo resort lontano da tutti e all’interno di un consorzio faunistico-venatorio dove Serena Sebastiani mette in tavola quello che lei stessa si procura e quello che con il compagno Giuseppe Onorato coltiva, alleva e produce. Come nel caso degli straordinari salumi unici in Italia. Una cucina legata al territorio in un modo viscerale e inevitabile

Borgo Santa Cecilia, a cena dalla chef cacciatrice

La sostenibilità in alcuni casi è uno slogan, in altri una scelta naturale, quasi l’unica possibile. Una condizione che a Borgo Santa Cecilia la chef Serena Sebastiani e il compagno Giuseppe Onorato, cacciatore, cercatore, allevatore vivono 365 giorni l’anno, allo stato semibrado, come dicono loro, nei 320 ettari di questa tenuta in una delle parti più sperdute dell’Umbria, da qualche parte non lontano (ma nemmeno vicino) a Gubbio, appesi alla civiltà grazie a chilometri di sterrato che li dividono e uniscono a una strada provinciale, e appollaiati a 700 metri sul livello del mare, a guardare i dintorni dall’alto in basso, come i re di quel mondo.

Borgo Santa Cecilia è un piccolo resort che si trova all’interno di un consorzio faunistico-venatorio ed è un luogo profondo, nel quale immergersi senza paura. Un luogo olistico nel quale Serena e Giuseppe praticano un ciclo gastronomico completo che è scelta di vita prima ancora che scelta alimentare. Lì loro coltivano secondo i dettami dell’agricoltura biologica cereali come grano, farro, orzo, avena, legumi come lenticchie, piselli, e poi foraggi per nutrire gli animali allevati allo stato brado, tra cui galline, maiali e agnelli. I prodotti delle coltivazioni e degli allevamenti, oltre che alla vendita, sono destinati a rifornire la cucina quasi totalmente autarchica del ristorante del borgo, così come gli animali che la chef caccia secondo i principi e le regole della caccia selettiva e cucina di persona, in un atto quasi politico che colloca l’uomo all’interno di un equilibrio perfetto dell’ecosistema che lo circonda e annette.

Borgo Santa Cecilia, panoramica

Il ristorante del borgo propone pertanto una cucina davvero radicale, estrema nel suo essere assolutamente legata al territorio e alle persone che lo vivono e alla loro quotidianità. Si mangia letteralmente il borgo. Naturalmente chi è a cena non deve necessariamente sforzarsi di fare dell’esperienza un motivo di immedesimazione e riflessione, ma la cosa è naturale, viene da sé, soprattutto se il pasto arriva dopo aver vissuto per qualche ora in quel contesto che si autodefinisce e in qualche modo basta a sé stesso. Il ristorante, ospitato in una sala che fa da cuore e punto di incontro dell’intera struttura – che ospita anche alcune belle camere – offre due menu degustazione da tre portate a 50 euro e da cinque portate a 65 che rappresentano la scelta migliore per affidarsi all’estro del giorno di Serena e soprattutto a quello che la natura ha suggerito. Un palinsesto quindi non troppo rigido, anche se qualche piatto fa da punto fermo. Io ho mangiato un buon Ceviche di cinghiale con cipolla rossa, granita di prezzemolo e sedano e bergamotto spolverato, un inizio davvero profondo; poi una Zuppa di funghi cardoncelli glassati con spuma di funghi, bieta e salsa sempre ai funghi; quindi uno Spaghetto all’elicriso (un fiore somigliante alla mimosa) con cuore e fegato di capriolo essiccati e grattugiati come bottarga (un’idea molto interessante, questa); quindi un piatto che si connette alle tradizioni contadine più ancestrali, Cotica e fagioli, con crema di fagioli azuki e di fagioli tondino e tartufo bianco (gioiello di cui il circondario è pieno, li cerca Giuseppe stesso).

Chef Serena Sebastiani
Chef Serena Sebastiani

Fin qui tutto bene, anzi meglio. Però ora ci sono i piatti forti, quelli nei quali si gioca la partita: uno Stracotto di spalla di agnello con spuma di patate, bergamotto e trifoglio, uno straordinario Capriolo con fondo bruno con cicoria e kimchi di ciliegia; e poi i salumi che qui non sono semplice complemento ma parte fondamentale dell’identità del Borgo, perché Giuseppe produce pochi ma magnifici pezzi che vende a prezzi da amatore a ristoratori e appassionati con il marchio Onorato Salumi. I prosciutti in particolare sono a loro modo unici in Italia, prodotti artigianalmente, rispettando le stagioni e i tempi di crescita degli animali e con tagli tutti differenti. Visitare la stanza in cui affinano per chi come me ha visitato prosciuttifici industriali è stato molto istruttivo: i prosciutti sono tutti differenti, non sembrano prodotti in serie secondo standard dettati da un mercato privo di senso delle differenze. In ogni caso nel mio piatto, oltre al prosciutto 70 mesi che Giuseppe mi suggerisce (o meglio ordina) di mangiare per ultimo, finiscono coppa di testa, guanciale, lonzino lardellato, capocollo, salame di maiale, mazzafegato. Una goduria.

Finale dolce: Sorbetto alle more con labneh di capra, succo di melograno e granita di verbena, limone e sambuco; Minicake di farina di riso con cacao, sorbetto alle pere, gruè di cacao e mandorle caramellate; piccola pasticceria superclassica.

Borgo Santa Cecilia, spaghetto

Giuseppe si occupa anche della sala con stile narrativo, e con il giusto approccio locale, solo apparentemente ruvido; e della cantina, che ha una piccola carta frutto di una selezione prima di tutto umana dei produttori. C’è però tutto per godersela anche da un punto di vista liquido. La sala riflette l’identità del luogo: arredi contemporanei e sobri, provenienti quasi tutti da manifatture artigiane del territorio.

Anche le ceramiche e i complementi della mise en place sono frutto del lavoro di mani esperte, come quelle di Daniele della falegnameria Fabula di Umbertide o delle Ceramiche Bucci di Pesaro.

Borgo Santa Cecilia si trova nella frazione Montelovesco del comune di Gubbio sulla strada provinciale 206 al km 15,500. E’ chiuso nel mese di gennaio a partire dall’Epifania. Sito www.borgosantacecilia.com

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