Cronaca giudiziaria

La strage di via Fani 45 anni fa: l'identikit del killer senza volto

Atletico e con un passamontagna nero: il mistero del membro 'esterno' del commando

La strage di via Fani 45 anni fa: l'identikit del killer senza volto

Un killer professionista, dal fisico atletico e dalla assoluta padronanza delle armi, che usa un passamontagna per celare persino agli altri membri del commando la sua identità. Un killer professionista che ‘risolve’ l’azione di via Fani uccidendo l’agente Iozzino. A 45 anni di distanza dal rapimento di Aldo Moro e dall’agguato che costò la vita ai cinque uomini della scorta (Oreste Leonardi, Domenico Ricci, Francesco Zizzi, Raffaele Iozzino e Giulio Rivera), la figura del killer travisato resta sfuggente e, soprattutto, senza identità.

Eppure, sin dalle prime testimonianze successive all’agguato del 16 marzo 1978 la sua figura è ben delineata. Ne parlano, ad esempio, Tullio Moscardi e la moglie Maria Iannaccone, residenti in via Fani 109: i due lo descrivono come “un uomo travisato con una specie di passamontagna di colore nero, alto mt. 1.80 – forse anche di più – con fisico atletico, vestiva un abito tipo ‘tuta’ molto attillato di colore nero (dunque, non una divisa come quella dei quattro brigatisti che sparavano davanti al bar Olivetti, n.d.r.), con una specie di mascherina sugli occhi di colore rosso (in realtà è una riga rossa sul passamontagna proprio in corrispondenza degli oggi, n.d.r.), armato di mitra”.

Anche un altro testimone, Paolo Pistolesi, che al tempo aveva un’edicola in via Fani parla di un individuo che “indossava un passamontagna nero con una striscia rossa al centro, si trattava di un passamontagna del tipo da ‘motociclista’, che lascia scoperto solamente gli occhi (…) ricordo che doveva indossare qualcosa di scuro”. Il testimone precisa di aver visto “benissimo che impugnava un mitra, mi sembra col braccio destro; lo impugnava, nel momento in cui io l’ho visto, tenendolo rivolto verso l’alto e, muovendo lo stesso braccio, faceva cenno alle macchine che sopraggiungevano di tornare indietro e di allontanarsi. Ad un certo punto, poi, si è rivolto verso di me e, impugnando sempre il mitra, ha fatto cenno di allontanarmi, quindi ha abbassato il mitra nella mia direzione; a quel punto io mi sono buttato dietro una macchina ed ho sentito, senza vedere, una raffica (con ogni evidenza è quell’ultima breve raffica contro l’ingegner Alessandro Marini a bordo del suo ciclomotore, n.d.r.)”.

Anche un’altra testimone, Lina Procopio, ascoltata nell’immediatezza dal Nucleo Operativo dei carabinieri della Compagnia Roma-Trionfale, riferisce di aver visto “quattro persone in divisa di colore bleu scuro con i relativi berretti, che stavano sparando con i mitra” mentre “un’altra persona travisata con passamontagna armata di mitra teneva a bada i passanti”.

Decisiva però per mettere a fuoco il killer col passamontagna è un’altra testimone, Lina Cinzia De Andreis. Ascoltata il 24 marzo 1978 dal Nucleo Operativo dei Carabinieri di Roma, la donna racconta di essersi trovata, il 16 marzo 1978, in via Stresa proprio di fronte al bar Olivetti di via Mario Fani, dove si ferma per accendersi una sigaretta. “Mentre cercavo le sigarette nella mia borsa notavo ferma all’angolo di via Stresa un’autovettura Fiat 128 di colore bianco targata CD in posizione di marcia verso via Mario Fani. Notavo altresì all’interno tre persone, e mentre accendevo la sigaretta guardavo al lato opposto a quello ove mi trovavo notando un uomo dall’apparente età di 30-35 anni. Questi indossava un berretto tipo coppola, un giubbotto nero di pelle e pantaloni stesso colore e sentendosi osservato mi ha guardato in modo torvo ”.

Dunque, a via Fani, oltre ai quattro brigatisti vestiti da avieri (Valerio Morucci, Raffaele Fiore, Prospero Gallinari e Franco Bonisoli), c’era anche almeno un quinto elemento del commando, un killer atletico, vestito in maniera differente dagli avieri e che ha tutta l’aria di essere un ‘esterno’. Non si può fare a meno di ripensare, dunque, al verbale del brigatista pentito Michele Galati del 1982, già anticipato ad agosto dal IlGiornale.it, che riferisce di una frase pronunciata da Mario Moretti in occasione della pianificazione di una rapina nel novembre ‘79 a Venezia: “Anche a Via Fani uno ci era scappato (cioè Iozzino), ma quelli di riserva lo hanno steso”.

Era dunque l’uomo col passamontagna “quello di riserva” che al momento dell’agguato, accucciatosi dietro la Mini Cooper verde del Moscardi, falciò il povero agente Iozzino? E come mai a 45 anni di distanza non ha ancora una identità? In realtà già nel 1978, proprio dalle indicazioni della De Andreis, i Carabinieri realizzarono un identikit che Il Giornale.it mostra in anteprima, di quell’uomo dell’apparente età di 30-35 anni e vestito con giubbotto e pantaloni neri di pelle: - “altezza 1.80-1.82”; - “occhi scuri a mandorla”; - “corporatura massiccia”; - “labbra carnose”; - “naso grosso e pronunciato”; - “orecchie grosse sporgenti”.

Tuttavia quella pista allora venne inopinatamente abbandonata. E anche nel corso del primo processo Moro, la De Andreis venne brevemente sentita e, di fatto, liquidata. Eppure la sua testimonianza aveva reso possibile una ricostruzione del ruolo nella strage dell’uomo che, a viso scoperto sul marciapiede antistante il bar Olivetti poco prima che iniziasse la sparatoria, indossa dopo il passamontagna nero con riga rossa centrale per non correre il rischio di essere riconosciuto. Lo stesso uomo che, durante l’azione ma subito dopo la sparatoria, viene avvistato nella parte più alta di via Fani da ben quattro testimoni, armato di una mitraglietta. Un killer che, prima spara contro la Fiat 130 e l’Alfetta riparandosi dietro alla Mini Cooper verde parcheggiata sul lato sinistro di via Fani e poi, spostandosi repentinamente verso la 128 bianca del cancelletto posteriore messa dietro l’Alfetta, fa fuoco sempre accucciato contro Zizzi che infatti viene colpito alla schiena da tre colpi dal basso verso l’alto.

È lui, probabilmente, che la testimone Cristina Damiani ancora nel 2022, vede impugnare la canna che spunta dietro la Mini Cooper che, come rivelato da Il Giornale.it, presenta un foro di proiettile sulla targa che per 45 anni è stato del tutto ignorato. Ed è a lui, piuttosto che ai quattro avieri, che l’agente Iozzino spara due colpi di pistola, intuendone la pericolosità.

Un killer che, a tutt’oggi, è ancora senza volto. L’identikit ha tratti di somiglianza con Giustino De Vuono, ex legionario e ’ndranghetista calabrese, sospettato di aver avuto un ruolo nella strage, ma la descrizione fisica, soprattutto quella relativa all’altezza e alla copertura atletica, non coincidono. C’è però una suggestione con quelle “labbra carnose” e quel “naso grosso e pronunciato” oltre che con l’altezza l’età e l’atleticità descritti dalla testimone De Andreis. Una suggestione che rimanda proprio alla Calabria e alla fisionomia di un uomo ex poliziotto e dalla vita misteriosa, che recentemente è stato associato a molti misteri italiani. Sono queste le ulteriori circostanze su cui le indagini in corso potrebbero fare definitivamente luce, come suggerito dai fratelli Giovanni e Paolo Ricci, figli di Domenico, difesi dall’avvocato Nicola Brigida.

Nonostante i tanti punti oscuri, a 45 anni dalla strage il ricordo è più vivo che mai.

Lo testimonia l’iniziativa “Musica per la Memoria”, l’evento organizzato e promosso dall'Associazione Domenico Ricci per la memoria dei Caduti di via Fani, un concerto per non dimenticare le vittime del terrorismo delle forze dell’ordine liberamente ispirato dal libro “Anni Bui” di Salvatore Lordi e in programma a Roma, all’Acquario Romano.

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