È riuscito a trasformare il dolore per la tragica perdita di una figlia in una forza che punta a prevenire nuove tragedie. Un compito non semplice quello che si è posto Gino Cecchettin, padre di Giulia, la studentessa di 22 anni uccisa in modo brutale nel novembre 2023 da Filippo Turetta. L’uomo, presidente della Fondazione che porta il nome di Giulia, in un'audizione in Commissione parlamentare di inchiesta sul femminicidio che si è svolta a due anni dall’omicidio della figlia, ha spiegato di saper bene che "ci sono paure, resistenze e incomprensioni, ma vi assicuro che l'educazione affettiva non è un pericolo è una protezione, non toglie nulla a nessuno, ma aggiunge qualcosa a tutti: consapevolezza, rispetto e umanità". Cecchettin ha evidenziato che una scuola "che non parla di affettività, di rispetto, di parità è una scuola che lascia soli i ragazzi di fronte a un mondo che grida messaggi distorti”.
“Quando la scuola tace- ha aggiunto- parlano i social, parlano i modelli tossici, parlano i silenzi degli adulti. Noi abbiamo il dovere di dare ai giovani strumenti per orientarsi non solo nozioni per studiare". Cecchettin ha detto di credere che l'educazione "sia l'unica risposta sistematica possibile. Non possiamo delegare ai tribunali ciò che spetta alla scuola, alla famiglia, alle istituzioni culturali e lì nelle aule nei luoghi di formazione che possiamo insegnare ai nostri ragazzi a riconoscere la violenza prima che si trasformi in gesto, prima che diventi tragedia".
Il genitore ha poi spiegato il motivo del suo impegno nel sociale. Una sorta di obbligo morale per evitare che si ripetano future tragedie come quella capitata alla figlia e che inevitabilmente lo hanno segnato nel profondo. "Il mio impegno e quello della Fondazione nasce dal desiderio di evitare che altri genitori debbano vivere ciò che ho vissuto io, ma anche nella speranza che un giorno non servano più le fondazioni intitolate a ragazze uccise perché avremmo imparato a riconoscere il valore sacro della libertà di ciascuno, il valore sacro della vita". Cecchettin ha evidenziato che non è possibile "cambiare ciò che è stato, ma possiamo cambiare ciò che sarà. Per Giulia e per tutte le Giulia che verranno, vi chiedo di fare una scelta coraggiosa, di credere nell'educazione come prima forma di giustizia, come la vera forma di prevenzione”.
Per quanto riguarda il rapporto con gli altri enti, negli assiomi della Fondazione, Cecchettin ha rimarcato che "c'è proprio quello che bisogna fare sistema, bisogna cercare di unire le forze tant'è vero che abbiamo fatto già degli accordi con alcune delle associazioni che gestiscono centri antiviolenza. Per esempio, con Differenza donna, abbiamo fatto nascere un centro antiviolenza nuovo su Roma, proprio perché siamo convinti dell'importanza di questa struttura che è la prima al soccorso delle donne". "Cosa si può fare di più? Sostenere queste associazioni- ha proseguito-, sostenere dal punto di vista finanziario i centri di violenza nel modo che possa essere utile per ogni donna vittima di violenza. Sono ancora insufficienti". Gino ha raccontato di aver letto che "dal rapporto Stato-Regioni ne servirebbero almeno 10 volte tanto. Quindi è chiaro che molte donne non trovano risposta perché intasati da tantissime richieste. Quello che possono fare le istituzioni è garantire sussistenza, sufficienza ed eventualmente parlare con le associazioni che gestiscono i centri antiviolenza e capire come fare per adeguare il numero di questi centri".
Cecchettin ha parlato anche di sé e del dolore che lo ha segnato:"Non sono un politico, non sono un esperto. Sono semplicemente un padre che ha visto la propria vita cambiare per sempre due anni fa. Ho perso mia figlia, una ragazza piena di vita, curiosa, generosa, capace di vedere il bene anche dove non c'era. Da quel giorno il mio mondo si è fermato, ma non potevo restare fermo anch'io". Gino ha sottolineato che gli eventi come questi "ti cambiano per sempre, non c'è futuro, ti viene tolto anche il futuro. Un futuro fatto di abbracci, di ricordi e di giornate che non ci saranno più. Che in qualche modo dovevo riempire”. Quindi ha scelto di reagire, “di dare un senso a quel dolore che rischiava di distruggermi. Così è nata la Fondazione Giulia Cecchettin: non per coltivare la memoria del dolore, ma per trasformarla in impegno, perché se non cambiamo la cultura che genera la violenza, continueremo a piangere altre Giulie, altre famiglie, altre vite spezzate".
Nel corso dell’audizione, Cecchettin ha anche affermato di non essere qui per chiedere più punizioni o leggi più dure. Per Gino la giustizia "serve, ma arriva sempre dopo. Sono qui per parlare di ciò che può arrivare prima, la prevenzione e quindi l'educazione". Il genitore ha infine spiegato che "oggi la violenza di genere viene spesso raccontata come un'emergenza, ma non lo è. È un fenomeno strutturale radicato nella nostra cultura, nei linguaggi, nei modelli di relazione, negli stereotipi che continuiamo a tramandare. Non nasce all'improvviso, non è un raptus, cresce lentamente in una società che troppo spesso giustifica, minimizza, o resta in silenzio".
Come fondazione Giulia Cecchettin, "crediamo che l'unica risposta duratura alla violenza sia educare al rispetto, all'empatia, alla libertà reciproca e questo può avvenire solo nella scuola, il luogo dove si formano le persone non solo gli studenti. Non si tratta di ideologia, ma di civiltà". Per Cecchettin parlare di educazione affettiva significa "insegnare ai ragazzi a conoscere se stessi, a gestire le emozioni, a riconoscere i confini e chiedere e dare consenso. Significa insegnare che l'amore non è possesso, che la forza non è dominio, che il rispetto è la base di ogni relazione".