
Nel container, su una banchina del porto di Gioia Tauro, c’erano nascosti 193 panetti zeppi di cocaina, per un peso complessivo di 228 chili che, se fossero finiti nelle piazze di spaccio italiane, avrebbero fruttato alla criminalità almeno 35 milioni di euro. Ma il carico è stato intercettato dagli uomini delle Fiamme gialle della città calabrese, che hanno anche beccato due portuali infedeli che facevano da “basisti” e stavano cercando di recuperare la partita nascosta tra migliaia di container nel piazzale operativo dello scalo calabrese. I due uomini, all’arrivo dei finanzieri, hanno tentato di fuggire zigzagando tra i moduli in acciaio, ma sono stati bloccati e arrestati quasi subito dagli uomini della Gdf, che hanno così messo a segno l’ennesima operazione mirata – e uno dei tanti clamorosi sequestri di droga – condotta nel porto di Gioia Tauro nell’ultimo biennio.
Operazioni che hanno inferto duri colpi a un settore economico fondamentale per le mafie italiane, che contano sui proventi della vendita di stupefacenti e che hanno uno snodo strategico per il narcotraffico nel cuore del Mediterraneo nello scalo calabrese, uno dei principali hub europei del traffico di cocaina da Oltreoceano. Il porto di Gioia Tauro è storicamente controllato in modo pressoché esclusivo dalla 'ndrangheta, in particolare da alcune delle più potenti cosche della Piana di Gioia Tauro, ma è importantissimo anche per le altre mafie italiane (in particolare la camorra e i clan di Secondigliano) e dalle organizzazioni criminali straniere che vi operano come clienti o come partner logistici.
La dimensione delle operazioni la dice lunga sui volumi del traffico: solo nel corso del 2025 sono state sequestrate almeno 2,5 tonnellate di cocaina, alle quali si aggiungono le 3,8 tonnellate sequestrate l’anno scorso. E il dispositivo permanente di controllo delle forze dell’ordine sullo scalo portuale, con scanner di ultima generazione, analisi dei rischi su arrivi e spedizioni e operazioni mirate, sta dando i suoi frutti, anche in altri campi: a giugno dello scorso anno, con la collaborazione dell’intelligence Usa, sono stati sequestrati due droni militari cinesi Wing Loong II diretti in Libia. Non è un caso che le ‘ndrine abbiano cercato di arginare i controlli, provando a infiltrare le istituzioni. E infatti a febbraio del 2024 sono stati arrestati due funzionari doganali accusati di favorire le cosche di ‘ndrangheta manipolando i controlli sui container. Un’operazione che ha permesso anche di documentare l’ingresso, grazie alle “entrature” poi scoperte e disarticolate, di almeno 5 spedizioni per oltre 2,5 tonnellate di cocaina.
Perché, droni a parte, la parte del leone al porto di Gioia Tauro la fanno i sequestri di stupefacenti. Nel 2025, prima dell’ultima operazione, ce ne sono state almeno 4 di pari importanza. A gennaio, la gdf ha pescato 110 kg di cocaina nascosta in bobine di carta, il mese dopo sempre le fiamme gialle hanno trovato 788 kg di cocaina in tre container provenienti dal Sudamerica, nascosti in parte in confezioni di pellet e in parte nel motore del frigo di un container che trasportava prodotti ittici. Sempre a febbraio polizia e Antidroga hanno intercettato un tir che dalla Piana trasportava verso Nord 137 kg di cocaina divisa in 125 panetti, mentre a marzo di nuovo la guardia di finanza mette a segno il più clamoroso sequestro del biennio: 1.170 kg di cocaina, ancora nascosta in sacchi di pellet appena sbarcati nel terminal calabrese su 11 container provenienti dal Brasile.
Dà la misura dell’organizzazione e della complessità della filiera anche l’operazione con cui, ad aprile scorso, i carabinieri di Gioia Tauro hanno scoperto, all’interno di un casolare nel cuore della Piana, a Rizziconi, un laboratorio clandestino destinato alla
raffinazione e al confezionamento della cocaina grezza, trovando peraltro nascosti in una intercapedine oltre 100 chili di stupefacente purissimo, oltre a strumenti di laboratorio all’altezza di una produzione su scala industriale.