L’omicidio di Elio Codecà: tra spy story, piste internazionali e depistaggi

Il suo è rimasto un caso irrisolto dell'Italia del dopoguerra, un cold case che è arrivato ai giorni nostri senza colpevoli. A parlarne è il programma Psiche Criminale, in onda sul canale 122 Fatti di Nera

L’omicidio di Elio Codecà: tra spy story, piste internazionali e depistaggi

Un solo colpo di mitragliatrice mentre era in strada con il cane. Così fu ucciso il 16 aprile 1952 a Torino Elio Codecà, ingegnere e dirigente della Fiat nato nel 1901. Il suo è rimasto un caso irrisolto dell'Italia del dopoguerra, un cold case che è arrivato ai giorni nostri senza colpevoli. A parlarne è il programma Psiche Criminale, in onda sul canale 122 Fatti di Nera. Quella sera, intorno alle 21, uno sparo scosse via Villa della Regina, quartiere elegante e silenzioso di Torino. A terra, accanto a un'auto parcheggiata, fu ritrovato il corpo di Elio Codecà, dirigente ai vertici della Fiat nato a Ferrara 51 anni prima. Elio Codecà fece carriera rapidamente: dopo la laurea in Francia, venne assunto dall'azienda automobilistica torinese che lo incaricò di ricoprire ruoli di responsabilità negli stabilimenti in Romania e in Germania. Nel 1950 venne nominato direttore della sezione “Grandi motori” ed entrò così a far parte di un gruppo ristretto di dirigenti influenti dell'azienda. La sera del delitto, dopo aver cenato e chiamato la famiglia al telefono, in quel momento in Liguria per qualche giorno di relax, l'ingegnere uscì di casa con il suo cocker per fare una passeggiata.

Fece appena in tempo a caricare il cane in automobile, quando un solo colpo esploso da un mitra lo colpì in pieno, uccidendolo. Un'esecuzione rapida, silenziosa, condotta con precisione chirurgica. In poche ore il nome di Elio Codecà, uomo riservato e stimato dai colleghi, divenne il simbolo di un mistero che accompagnerà Torino per oltre settant'anni. Il suo omicidio è rimasto un caso irrisolto, tra piste improbabili e indagini complicate. Negli anni Duemila, l'ex senatore torinese del Partito Comunista Italiano Lorenzo Cianotti tornò sul caso Codecà con un libro che proponeva piste alternative alla tesi della vendetta di un ex partigiano comunista per i licenziamenti di operai di sinistra in Fiat. Cianotti citava alcuni elementi rimasti oscuri, come gli appunti in caratteri cifrati trovati sulla scrivania dell'ingegnere, proponendo anche la pista di un intrigo internazionale. Durante le indagini, alcuni dirigenti Fiat lasciarono intendere che Codecà potesse essere coinvolto in affari personali con Paesi dell'Est Europa. I suoi collaboratori riferirono che, nelle settimane precedenti all'omicidio, l'ingegnere aveva espresso il timore di essere ucciso.

Nei giorni successivi al delitto, sui muri dello stabilimento di Mirafiori comparve una scritta vergata con un gessetto: "E uno! Attenzione al due". In seguito ne furono scoperte altre simili che sembravano anticipare il clima dei delitti politici degli anni di piombo. “Fu un killer specializzato e organizzato ad entrare in azione – ha spiegato il criminologo Emiliano Fabbri – che uccise Codecà con uno sparo da distanza ravvicinata. Si trattò di un'azione di pochi secondi, non ci fu nessun testimone e si diede facilmente alla fuga. Le scritte intimidatorie erano nate dall'antipatia per la persona uccisa, così da sfruttare le indagini, per deviarle, puntando sul delitto politico ed economico a scopo intimidatorio, per voler dare una dimostrazione allo Stato e agli industriali. L'arma utilizzata era una sten, una mitraglietta usata in guerra che molti partigiani avevano tenuto e conservato, e che girava in quell'ambiente particolare. Codecà poteva essere percepito come un simbolo della borghesia capitalista e del potere industriale, ma allo stesso tempo era coinvolto in altre vicende, in rapporti con le industrie estere alle quali forniva brevetti tecnici sensibili, quindi poteva trattarsi di un omicidio per il segreto industriale o per motivi di concorrenza internazionale. In ogni caso l'obiettivo non era tanto l'uomo, ma il singolo dirigente, sia per una matrice politica che per quella industriale”. Secondo la criminologa Federica Di Pietrantonio, si intrecciano “economia e politica. Codecà era un ingegnere, un dirigente di laboratorio, poi passato a guidare quel gruppo. Subito dopo la guerra, l'Italia stava sperimentando il boom economico.

Lui era stato mandato a dirigere in vari ambiti, da Bucarest alla Germania, prima di tornare in Italia. Vari ambiti, quindi aveva avuto rapporti con varie personalità che aveva conosciuto e anche varie situazioni politiche internazionali, verità scomode. Nel suo cassetto furono trovati degli scritti difficili da decriptare. La posizione stessa del cadavere, lo sparo, la traiettoria del proiettile, dettagli che fanno pensare che l'assassino fosse un cecchino. Dunque, un omicidio premeditato, programmato, per uccidere qualcuno che era venuto a conoscenza di qualcosa di scomodo. Poco probabile la pista eversiva, che fece un buco nell'acqua. L'indagine fu condotta in malo modo, si andò a indagare partendo da una minaccia su un muro della Fiat. Ma il filone eversivo depistò le indagini per oltre dieci anni. Si sa che lui aveva paura, aveva confidato di voler andare a vivere al centro città di Torino e che aveva ricevuto delle intimidazioni. La moglie e la figlia erano rimaste a Rapallo, e lui era in un luogo isolato da solo, di sera, quando sarebbe stato facile per chiunque avvicinarlo senza essere visto o sentito.

Anche la scelta dell'orario è particolare: nel 1952 alle 21 si stava a casa e non si andava in giro per strada. Lui era abitudinario, tutte le sere portava il cane, sarà stato osservato per giorni, ciò mi fa pensare che fosse stato seguito e studiato. “Codecà aveva conoscenze in ambito internazionale – ha detto lo psicologo Giuliano Ferrari – era un personaggio di rilevanza. Il suo sembra più una spy-story che un omicidio casuale o d'impeto. Quei biglietti con le scritte codificate non si è mai capito cosa ci fosse scritto: erano dei pizzini.

Per usare una sten, si aspettavano che lui scappasse, ma è bastato un colpo solo. Dopo qualche giorno, un testimone parlò di uno sparo e un furgoncino rosso che fuggiva poco dopo. Invece, la scritta fu un tentativo di rivendicazione della classe operaia per un attentato non loro”.

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