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Liliane, "disoccupata" col vizio dell'alta moda

Foto sexy, selfie griffati e ambizioni da stilista. Chi è la donna che ha inguaiato il marito parlamentare

Liliane, "disoccupata" col vizio dell'alta moda

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«Non chiamatemi Lady Gucci». Finita nella bufera per l'inchiesta che ieri l'ha vista spedita ai domiciliari dal gip di Latina per l'inchiesta sulle coop di famiglia, Liliane Murekatete 46 anni, originaria del Ruanda, aveva reagito ispirata dall'antico adagio secondo il quale la miglior difesa è l'attacco. La donna è lei. È lei, moglie del parlamentare Aboubakar Soumahoro, eletto con Verdi e Sinistra e passato polemicamente al gruppo misto per la «scarsa solidarietà» ricevuta, ad aver «inguaiato» il marito, coinvolto suo malgrado dall'inchiesta che ora vede moglie e suocera ai domiciliari per frode in pubbliche forniture, bancarotta fraudolenta patrimoniale e autoriciclaggio.

L'inchiesta, nell'autunno dello scorso anno, aveva portato Liliane sotto i riflettori. E in molti avevano sottolineato la diversa cifra stilistica della coppia. Lui, neoeletto, aveva scelto di presentarsi a Montecitorio in giacca, cravatta e galosce di gomma, simbolo della sua lotta al caporalato. Lei preferiva apparire nei suoi selfie sui social con abiti e borse firmate, pose da vamp, rossetti, occhiali, cover griffate per il cellulare. Dopo l'inchiesta, spuntano anche foto sexy, scattate da un fotografo nel 2012 e per dieci anni rimaste a disposizione di tutti sul sito del professionista, prima che l'indesiderato picco di fama di Liliane le facesse saltare fuori, mandando lei su tutte le furie e il fotografo sotto indagine.

Ma la passione vera della donna è la moda, e Liliane l'aveva portata anche nel suo lavoro nelle coop di famiglia che lavoravano con migranti e richiedenti asilo. Proprio questi ultimi erano divenuti la manodopera per realizzare, nella primavera del 2018, «K mare», una collezione di costumi da bagno, pareo e abbigliamento da spiaggia di gusto etnico con la quale Liliane aveva scelto di mettersi alla prova come stilista, affidandone appunto la manifattura agli ospiti della coop Karibu in attesa di un sì o di un no alla richiesta di asilo. Attività lecite, certo, come pure non c'era molto da sindacare sulla immagine pubblica che la donna dava di sé, ma che certo strideva un po' con il personaggio costruito da suo marito.

E stridevano, quelle foto in abbigliamento griffato di Liliane, anche con i tentativi di giustificarla da parte di Soumahoro, che l'aveva definita «disoccupata», forse per sminuire il suo ruolo nelle magagne dell'inchiesta sulle cooperative sociali. Già ai tempi di K mare qualcuno, tra gli altri Casapound, l'aveva attaccata per lo stile sfoggiato sui social, e lei si era difesa negando di aver finanziato anche con un solo centesimo dei soldi incassati dalla coop la sua passione per l'alta moda. «Ho avuto una vita precedente nella quale ho lavorato e mi sono e mi sono potuta permettere abiti firmati», sospirava, assicurando di esser pronta a mostrare gli scontrini. A mostrarli, però, sono stati gli inquirenti.

Secondo i quali, invece, proprio i soldi destinati ai migranti sono serviti ai soggiorni nei resort, agli investimenti in Ruanda e a quegli acquisti griffati in lussuosi negozi in Italia e all'estero.

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