La devastazione di Torino da parte degli antagonisti di Askatasuna ha confermato, ancora una volta, che il centro sociale torinese difeso dalla sinistra non può essere coinvolto in progetti istituzionali. Chi lo difende mette avanti le iniziative di quartiere per grandi e piccini ma l'altro volto di Askatasuna, quello visto ieri e in decine di altre occasioni negli ultimi trent'anni, non può essere ignorato. Eppure, anche a fronte di questo, anche a fronte degli 11 agenti feriti dalla guerriglia organizzata, c'è chi riesce a puntare il dito contro lo Stato per lo sgombero dell'immobile, occupato da 29 anni abusivamente. Tra questi c'è Donatella Di Cesare, docente di filosofia all'università La Sapienza di Roma, candidata di recente da Avs (senza essere eletta) alle elezioni per la Regione Calabria.
"Un luogo nato dal basso, attraversato da lotte, musica, cura reciproca, viene trattato come un nemico interno. Quando il potere decide chi è 'legittimo' e chi no, la forza prende il posto del diritto. E l’esultanza dei vertici di questo governo mostra il volto nudo della repressione, orgogliosa di sé", ha scritto ieri Di Cesare dopo che le violenze del centro sociale si erano compiute. Scrive che "il potere decide chi è legittimo e chi no" ma in realtà è la legge che lo decide, stabilendo che occupare una proprietà è reato. Ma anche stabilendo che è un reato assaltare la redazione di un quotidiano. Ma tutto questo viene ignorato, scientemente epurato dalla narrazione che imbelletta, costruisce una realtà su misura per rendere accettabile anche una realtà violenta. Certo, scrive ancora Di Cesare, "si può discutere, criticare, dissentire anche duramente da singole azioni. Ma un conto è il confronto pubblico e giuridico, un altro è l’intervento repressivo che sostituisce il dialogo con la forza". Dopo 29 anni di violenze, il tempo del dialogo era abbondantemente finito e non è stato adeguatamente messo in evidenza che giovedì la Digos è arrivata al centro sociale per una perquisizione a fronte dell'assalto a La Stampa ma, trovando al terzo piano, dichiarato inagibile dalla Asl e dai Vigili del Fuoco anni fa, persone che dormivano e vivevano, ha proceduto con il sequestro e lo sgombero per ragioni di sicurezza.
Per Di Cesare, "la chiusura di Askatasuna resta un fatto grave. Al di là di ciò che è accaduto dopo, al di là delle tensioni e delle violenze che vanno sempre condannate" ma "quando si decide di chiudere un’esperienza invece di governare il conflitto, quando la forza prende il posto del confronto, si produce una frattura che non riguarda solo chi viene colpito direttamente. Riguarda l’idea stessa di spazio pubblico". Si ripropone quanto accaduto con il Leoncavallo: tanti quelli che l'hanno difeso dopo lo sgombero dell'immobile occupato, ma quanti della sinistra e della sinistra radical-chic hanno poi messo mano al portafoglio per garantire al centro sociale di avere una sede per proseguire le attività, qualunque fossero? Lo spazio pubblico era occupato da Askatasuna senza titolo e il tentativo del Comune di Torino di istituzionalizzarlo con un progetto di bene comune si è scontrato con la realtà dei fatti: con un'occupazione in corso non si può dare seguito. "La storia insegna che la sicurezza invocata come parola magica spesso genera l’effetto opposto: più paura, più irrigidimento, meno ascolto. E il dissenso, se non trova parola, cerca altre vie. Denunciare questo non significa legittimare la violenza. Significa difendere un principio più fragile e più antico: che una democrazia vive anche di luoghi scomodi, di conflitti aperti", è la conclusione di Di Cesare, che per elargire le sue considerazioni sul mondo probabilmente si "dimentica" di guardare quella che è la realtà, limitandosi ai principi teorici.
Ma la vita vera è tutt'altro e non è nemmeno quella di Zerocalcare, che non stupisce abbia difeso il centro sociale, visto che da tempo il suo nome è legato a doppio filo a quella e ad altre realtà come questa. "Non solo Askatasuna con tutto quello che combina va bene, ma proprio per tutto quello che ha combinato negli anni io non gli potrò mai dire abbastanza grazie", è la considerazione del fumettista letta durante il corteo. Si è arrivati non solo alla giustificazione ma al ringraziamento a chi ha devastato città, lasciato dietro di sé feriti e vissuto nell'illegalità per anni. "Io non riesco proprio a immaginarmi Torino senza Askatasuna e spero che, tra l’altro, non mi dovrò mai abituare a immaginarmela, perché spero che sia soltanto una questione di tempo. E in questo tempo, fino a che non ci sarà un nuovo tetto, spero che le strade siano piene di gente che lo reclamano", ha aggiunto Zerocalcare, a cui andrebbe riproposto il quesito: perché non intervenire personalmente per trovare uno spazio legittimo, a spese sue e di chi vorrà unirsi a lui, per dare una casa ad Askatasuna?