
Il re (delle mascherine farlocche) è nudo da tempo, eppure fa discutere la candida ammissione in commissione Covid del numero uno della Protezione civile Fabio Ciciliano, che conferma quanto scrive il Giornale sin dalla seconda parte della pandemia: da febbraio all’estate 2020 mascherine inidonee sarebbero finite nelle corsie degli ospedali, col beneplacito della struttura commissariale presieduta da Domenico Arcuri. L’ammissione dell’allora componente del Comitato tecnico scientifico (Cts) chiama in causa anche Iss e Inail.
Nonostante il loro parere negativo su intere forniture di mascherine perché accompagnate da certificati rilasciati da enti non accreditati (come Ecm o Icr), questi dispositivi sarebbero stati comunque distribuiti a poliziotti, medici e infermieri. L’alto tasso di malattia e morbilità dei nostri eroi nonostante due lockdown, obbligo vaccinale e riaperture a macchia di leopardo (colpa anche delle Regioni in ordine sparso) potrebbero esserne l’effetto mefitico di aver lasciato milioni di persone circolare con mascherine che non filtravano, come soldati mandati in guerra con giubotti antiproiettile di cartone.
Molte delle mascherine, come sappiamo, provenivano dalla Cina e da consorzi nati in pochi giorni come il famoso Whenzhou. Dalle Dogane era partito un alert rivolto al governo, della serie «non comprate mascherine da questi soggetti» e invece così è successo. Ci sono state denunce all’autorità giudiziaria da parte del Cts o del commissario all’emergenza Covid Domenico Arcuri? Non ci risulta. Eppure il Cts e Arcuri, di fronte a una certificazione negativa che dimostrava l’esistenza di una possibile truffa, avrebbero dovuto denunciare penalmente i fornitori ex articolo 331 del Codice di procedura penale, in quanto «pubblici ufficiali e incaricati di pubblico servizio» che (ex articolo 347) «avendo notizia di un reato perseguibile di ufficio, devono farne denuncia al magistrato o alla polizia giudiziaria per iscritto, anche quando non sia individuata la persona alla quale il reato è attribuito, senza ritardo».
«Commesse di fornitura da centinaia di milioni di euro affidati a misteriosi consorzi cinesi facevano arrivare dispositivi farlocchi che anziché essere bloccati con tanto di denuncia finivano in corsia», tuona la delegazione di Fratelli d’Italia in commissione Covid. «Il Cts recepiva i pareri dell’Iss e dell’Inail sulla valutazione delle mascherine, che erano basati su valutazione documentale e non tecnica. E accertarsi della falsità di una valutazione documentale non era compito del Cts», sottolinea Ciciliano. Che i marchi Ce fossero palesemente contraffatti è ormai pacifico, che siano stati sdoganati bellamente aggirando le leggi anche. Con una beffa pari o superiore al danno: un buco miliardario sui bilanci. «Quello dell’emergenza Covid fu un quadro straordinario che ha dato una disciplina molto derogatoria». Ci furono «pagamenti anticipati» dalla Protezione civile di intere forniture «con un conto corrente ordinario, non di tesoreria». Una cosa «normalmente vietata», ma era «un mercato di guerra» con una fluttuazione incredibile di prezzi («le Ffp2 a 12-15 euro l’una»), in cui «se non anticipavi i soldi i dispositivi non arrivavano», ha ammesso Ciciliano. Il guaio è che alcune mascherine (farlocche) sono arrivate, altre già pagate neanche si sono viste.
Il Pd è rimasto a difendere Arcuri: «Da Fdi una continua mistificazione della realtà, bugie e falsità», dicono i parlamentari Pd Francesco Boccia e Ylenia Zambito, Simona Bonafé, Paolo Ciani e Gian Antonio Girelli. Ma la domanda resta sempre la stessa: il presidente del Consiglio Giuseppe Conte lo sapeva? Chi si è ingrassato sulla pelle degli italiani? Alle prossime audizioni l’ardua risposta