Il radiologo, l'architetto, il prestanome. "Così Messina Denaro scavalcò la lista d'attesa per la tac"

Secondo gli inquirenti c'è stata una totale omertà che ha avvolto come una nebbia fittissima tutto ciò che è esistito intorno alla figura del boss mafioso

Il radiologo, l'architetto, il prestanome. "Così Messina Denaro scavalcò la lista d'attesa per la tac"
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Sono finiti in manette, dopo una lunga indagine condotta dai carabinieri del Ros, tre indagati considerati fiancheggiatori del boss della mafia siciliana Matteo Messina Denaro. Il blitz dei militari è scattato questa notte in seguito all'ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari di Palermo su richiesta del procuratore capo Maurizio de Lucia e dell'aggiunto della Dda Paolo Guido. Le persone arrestate sono: Massimo Gentile, Cosimo Leone e Leonardo Gulotta che avrebbero favorito gli ultimi anni di latitanza dell'esponente dei corleonesi, arrestato a Palermo il 16 gennaio 2023 e morto il 25 settembre in carcere per un cancro.

Il profilo degli indagati

Massimo Gentile, uno dei tre arrestati, è un architetto di 51 anni, di origini siciliane. Dal 2018 è dipendente del Comune di Lambiate, in provincia di Monza, dove svolge il ruolo di coordinatore dei procedimenti del comparto Lavori pubblici. Secondo i magistrati della Dda avrebbe fornito la sua carta d'identità al latitante Messina Denaro che prima di essere "Andrea Bonafede" utilizzava l'identità di "Massimo Gentile", dal 2007 al 2017. Con quel documento acquistò nel 2007 una moto Bmw e nel 2014 una Fiat 500. Gentile deve rispondere di associazione mafiosa.

Il tecnico radiologo

C'è, poi, un tecnico radiologo dell'ospedale Ajello di Mazara del Vallo fra le tre persone finite in manette nel blitz dei carabinieri del Ros. Si tratta di Cosimo Leone, che si sarebbe fatto cambiare il turno per sovrintendere alla prima Tac dell'ultimo dei corleonesi quando scoprì di essere malato di cancro. Al tecnico radiologo viene contestato anche di aver fornito al boss, mentre era in ospedale, una nuova sim telefonica attivata da Andrea Bonafede, un'altra persona sospettata di essere tra i fiancheggiatori.

La Tac

Era l'autunno del 2020, quando in pieno periodo Covid, l'allora boss latitante Messina Denaro scoprì di avere il tumore e necessitava di una Tac. La fece all'ospedale Abele Ajello di Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, usando una falsa identità. Il boss riuscì, in ogni caso, a scavalcare la lista d'attesa. Ciò è emerso dall'operazione che oggi ha portato ai tre arresti dei presunti fiancheggiatori del boss. Infatti, la prima Tac era stata programmata per il 20 novembre 2020, ma fu anticipata al 17 e fatta addirittura ancora prima, il 10 novembre. Messina Denaro era stato nel frattempo ricoverato.

Il prestanome

Salvatore Gulotta, infine, anche lui arrestato all'alba di oggi dai militari che indagano sulla rete di fiancheggiatori di Messina Denaro, avrebbe assicurato al boss mafioso, dal 2007 al 2017, la disponibilità di una utenza telefonica necessaria per la gestione dei mezzi di trasporto in uso al latitante. Nel 2014, in piena latitanza, il boss mafioso girava per Palermo acquistando, sotto falsa identità, auto di grossa cilindrata, andando persino in banca. Messina Denaro si era recato in una concessionaria di Palermo dove acquistò una macchina. Il boss allora latitante versò 1.000 euro in contanti e altri 9mila euro con un assegno circolare emesso da una filiale di Palermo, in corso Calatafimi. La firma è a nome di Massimo Gentile.

La rete di omertà

C'è stata una totale omertà che ha avvolto come una nebbia fittissima tutto ciò che è esistito intorno alla figura del boss mafioso Messina Denaro. Ma anche attorno ai suoi contatti, ai suoi spostamenti e alle relazioni che ha intrecciato nei lunghi anni di clandestinità. L'accusa della procura di Palermo dopo il nuovo blitz sui fiancheggiatori del boss latitante è molto dura. Per il procuratore de Lucia e i pm che coordinano l'indagine si tratta di una "omertà trasversale che ha precluso agli inquirenti di avere spontanee notizie anche all'apparenza insignificanti".

Chi ha indagato non nasconde la delusione di non avere avuto alcun aiuto da"medici, operatori sanitari o anche semplici impiegati di segreteria", persone che hanno avuto dei contatti con il boss, anche a loro insaputa.

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